Il cielo sopra il Parco di Monza è azzurro per tutti ma color piombo per la Ferrari. Dice bene Vettel: «Un incubo peggiore di quanto mi aspettassi». Umiliata al sabato, la Rossa non è andata meglio alla domenica trovandosi a lottare con i team minori in retrovia e infine dovendo fronteggiare un tema nuovo e assolutamente serio: la sicurezza. Ritrovarsi a Monza nel traffico senza freni non è la migliore esperienza che ci si possa augurare, come non lo è sbandare alla Parabolica a 220 orari, provare a correggere e avere l’istantanea sensazione di avercela fatta, per poi sentire la macchina che si consegna alle leggi della fisica, dritta per la tangente dentro le barriere. Sono episodi in confronto ai quali una rottura di motore, una panne elettrica, un incidente tra i più frequenti e banali sono zollette di zucchero.
Il Gran Premio d’Italia è cominciato appena da quattro giri e Vettel fin dal via litiga con i freni. Il problema non è trascurabile: il muretto avvisa il pilota delle temperature alte, ma si prova a rimediare. La ripartizione della frenata viene spostata tutta sull’anteriore per quanto possibile (62%-38%), ma non basta. I freni che sulle altre vetture funzionano benissimo, mollano invece Seb alla Prima Variante dove, secondo le informazioni fornite dalla Brembo, si passa da 350 all’ora a meno di 90 in due secondi e mezzo, nello spazio di 135 metri. Decelerazione 5,5 G, carico che i superatleti della guida devono effettuare sul pedale: 195 chili. In questa simpatica situazione Vettel schiaccia, e la macchina non rallenta. Tira dritto e sbriciola barriere di polistirolo con l’unica conseguenza di un effetto scenografico. Fa per rientrare ma il freno posteriore sinistro va a fuoco ed è già finita. Sarà spettatore anche stavolta, come già al sabato in Q2 e Q3. A fine pomeriggio, chiuso mestamente anche il capitolo-Leclerc, commenterà: «E’ stato meglio non avere il pubblico», e non si può dire gli manchi la capacità di sintesi.
«Che botta! Ahia», ansima Leclerc dentro le barriere della Parabolica. Azzardava cercando di compensare i limiti della macchina, era esaltato subito dopo aver passato le due Alfa in un colpo solo, cercava di approfittare del caos dopo i pit stop generali seguiti al ritiro di Magnussen, alla conseguente Safety Car e alla chiusura e riapertura della pit lane. Insomma si sobbarcava il lavoro sporco che qualcuno deve pur fare, quando la sua macchina è troppo lenta. Ansima e prima di uscire dolorante dall’auto, dice una frasetta tagliente: «Onestamente, troppo difficile da guidare». Sta cercando alibi? No, perché questa è una verità dal sen fuggita, una di quelle cose che un pilota dovrebbe cercare di non dire mai, per fedeltà nei confronti del datore di lavoro. Ma tant’è: il ragazzo ha commesso un errore nel tentativo di cavare sangue dalle rape, di spremere cioè una prestazione accettabile da una vettura che accettabile non è, fin dalla sua nascita.
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