La bici è là, legata al soffitto con una catena. È una Caloi del 1995, non ha più il suo numero, il 114. Un cimelio, tra i cimeli nel santuario della Madonna del Ghisallo, la cappella dei ciclisti. Il 18 luglio, il giorno dell’81° compleanno di Gino Bartali e della 15ª tappa del Tour de France 1995, la Saint Girons-Cauterets, quella bici apparteneva a Fabio Casartelli. È blu e rossa, immobile, a pochi centimetri dal tetto della cappellina. «Non si sa chi è caduto per primo» inizia così Gianni Mura, il giorno dopo su Repubblica, «se Rezze o Casartelli». La televisione mostra un rivolo di sangue sotto il corpo del ragazzo italiano. Baldinger, caduto anche lui, fatica a rialzarsi. Gianluigi Stanga, il ds della Polti, gli si avvicina, lo sorregge e vede il bianco dell’osso spuntargli dalla gamba.L’incidente, il monumento, il ricordoCasartelli giace, ed è l’unico a non dare segni di vita. Dirà anni dopo Johan Museeuw: «Ho provato a risollevarlo, ma non si alzava. Corsi via e per tanto tempo ho avuto gli incubi. Volevo smettere». Grave caduta, dice Radio Tour. «In genere dice solo “caduta”» ancora Mura. La bici rossa e blu è riversa, come raggomitolata su se stessa, poggiata su un fianco, sulla discesa del Portet d’Aspet. Chiunque passi di là, oggi, può fermarsi accanto alla stele, una ruota di bici, un’ala d’angelo, tutto bianco, sommerso di fiori e borracce. Un piccolo santuario, anch’esso. Non si sveglierà più Fabio. Il suo cuore si fermerà tre volte in elicottero, verso Tarbes. Adriano De Zan, in telecronaca, mentre la tappa supera il Tourmalet e arriva a Cauterets in una festa ignara e vergognosa, fa lungamente silenzio, dopo aver dato la notizia a tutta Italia: «Leggo sul computer che Fabio Casartelli è morto». Vittorio Adorni, accanto a lui, aggiunge: «Lo sapevamo, ma non eravamo sicuri» e prosegue, da solo, per qualche minuto, De Zan è accanto e si sente che piange, si sente che non ce la fa. Era morto, a 25 anni, il campione olimpico di Barcellona ’92, un velocista che prometteva bene ma non aveva raccolto ancora molto.Una moglie, un figlioAveva un figlio di due mesi, Marco, che adesso ha 25 anni. Fabio ne avrebbe esattamente il doppio, se non avesse incontrato del ghiaino sulla strada e un paracarro che gli spaccò la testa. Annalisa, la moglie, vive a Forlì, fa la barista, s’è risposata con un vecchio compagno delle elementari. Marco studia. Il ciclismo non l’ha mai praticato e mai è stato nell’ambiente. Il papà non lo ricorda. Annalisa ebbe un sussulto: un mese prima, con la Motorola in ritiro a Livigno, sfidò i medici che le sconsigliavano di portare un neonato a 1800 metri di altitudine e fece incontrare Fabio e il piccolo Marco. Fu l’ultima volta. Casartelli tornò ad Albese con Cassano, il suo paese, in una bara di legno. Oggi ci saranno una messa in ricordo, senza Annalisa e Marco, ma con i genitori di Fabio, e una serata, con alcuni amici, tra cui Marco Saligari e Andrea Peron. Il Comune di Albese è bardato con uno striscione con Fabio in maglia azzurra e con la medaglia d’oro al collo. Le braccia alte, il sorriso largo. Quel giorno festeggiarono anche l’argento, l’olandese Dekker, e il bronzo, il lettone Ozols. Mai visto un arrivo così, con tre uomini che festeggiano. Il più felice era lui. Sulla bici al muro un cartello: “Bicicletta di Fabio Casartelli, 18 luglio 1995, Col de Portet d’Aspet (Francia)”. Prima della data, una piccola croce.
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