Trentaquattro giorni fa, non dieci anni, al Tour de l’Ain: Roglic primo sul Gran Colombier, Bernal a quattro secondi, Quintana a sei. Scontato etichettare quell’ordine d’arrivo come un preludio di quello che sarebbe successo al Tour. E invece… Il Massiccio del Giura con la sua imponenza si erge a primo giudice. Roglic per ora blindail Tour: forte lui, fortissima la squadra, che replica le dinamiche dei controversi postini di Armstrong o del Team Sky di Chris Froome. Un lavoro estenuante, costante, a tratti violento, in attesa che il leader faccia razzia. Egan Bernal va alla deriva: quando mancano 13 km si spegne la luce, un blackout, più vistoso della breve interruzione di energia del Puy Mary. Perde oltre sette minuti, processi in vista nel team Ineos dopo la scelta di puntare sul colombiano nonostante la presenza in rosa dello stesso Froome e di Thomas. A proposito di colombiani, male anche Nairo Quintana, che di minuti ne perde 4. E allora Tour finito? Neanche per sogno, perché sul Grand Colombier si conferma la splendida, folle giovinezza di Tadej Pogacar. Aveva già vinto, si ripete e rosicchia 4’’ di abbuono alla maglia gialla. Può insidiarlo? Solo se Roglic accusasse una giornataccia. Caso contrario, portare un attacco contro una squadra che ha 5 fenomeni che scandiscono il ritmo è un problema serissimo. Il discorso comunque sembra tra loro due: Uran, Miguel Angel Lopez, Simon Yates, Richie Porte, Mikel Landa. Tosti, regolari, ma al momento non pronosticabili oltre il buon piazzamento.
Insomma, Gran Colombier severo giudice di primo grado. L’appello mercoledì a Méribel, la cassazione sabato nella arrampicata a cronometro verso La Planche des Belles Filles. Ma il Tour è ben indirizzato… Tappa splendida e terribile. Un centinaio di km piani, per stuzzicare la voglia dei fuggitivi, poi nell’ordine: Montée de la Selle, il Col de la Biche e Grand Colombier. Una salita infinita che (17,4 km al 7,1% di pendenza media), per la prima volta è traguardo alla Grande Boucle, che l’ha conosciuta nel 2012 (con le smorfie di Thomas Voeckler). Il rapporto con il ciclismo però è assai più datato. Nel 1980 ci passò il Tour de l’Avernir, corsa per dilettanti che vinta dal professionista di stato Sergej Suchorucenkov, il sovietico medaglia d’oro ai Giochi di Mosca che in Italia faceva sempre qualcosa di buono al Giro delle Regioni.<<La cronaca della tappa>>
Cronaca. Va via un dappello. Ledanois, Geschke, Trentin, Marcato, Bonifazio, Herrada, Gogl e Rolland. Gli ultimi due sono quelli che resistono meglio in salita, ma dietro si fa troppo sul serio anche per una semplice illusione. La Jumbo di Roglic è tirannica: Gesink prima, poi van Aert, quindi George Bennett, e poi ancora Tom Dumoulin e infine Sepp Kuss. Un martirio per chi deve stargli dietro, è la classica selezione da dietro. Ne resistono una quindicina, poi Roglic prende in mano la situazione. Lui, Pogacar, Lopez e Porte. Vince Pogacar, Roglic si accontenta del secondo posto o è costretto a farlo. “Roglic al momento sembra inarrestabile, ma non si può mai sapere spiega il vincitore -. Una giornata negativa può capitare anche a Primoz come è successo a Bernal. Specialmente al Tour. Ci sono ancora delle opportunità. Ma oggi non aveva senso per me attaccare, il team Jumbo-Visma ha dominato la corsa”.
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