Il tramonto di Parigi, che accoglie Tadej Pogacar per incoronarlo giovane re, coincide con l’alba di un nuovo ciclismo. Per l’età dello sloveno, 22 anni lunedì, ma non solo. Si è parlato del suo ingresso sul podio dei più giovani vincitori di sempre: secondo dopo Henry Cornet, vincitore a neanche venti anni, ma dopo la squalifica dei primi quattro in classifica. Prima di François Faber, che quando vinse nel 1909 i 22 li aveva passati da 6 mesi. Il podio verde nella storia è però relativo: lo scorso anno ad esempio vi era salito Egan Bernal. Con pieno merito, intendiamoci, però il colombiano aveva uno squadrone come il Team Ineos, aveva Geraint Thomas pur con tutte le frizioni e rivalità del caso. Insomma, aveva più carte da giocare.
Pogacar ha combattuto quasi sempre solo (il quasi non è certo per Aru, punto d’appoggio alla deriva senza attenuanti, quanto per De la Cruz, l’unico riuscito a dargli un qualche contributo). Solo, contro lo squadrone del Team Jumbo-Visma di Roglic, quello dalla casacca gialla, quasi una sorta di autoinvestitura per quello che doveva essere e che non è stato. Pogacar non si è sottomesso, ha risposto, ha osato, ha reagito caratterialmente quando in una tappa tormentata dal vento l’inesperienza gli aveva giocato un brutto tiro: lo ha fatto con la maglia bianca di miglior giovane, con quella a pois di miglior scalatore (entrambe conquistate), poi all’ultimo assalto si è preso la gialla. Gli manca solo quella verde a punti: la conquista l’irlandese Sam Bennett, che certifica il tutto vincendo uno sprint che vale una classica, quello dei Campi Elisi. Volata bella, prepotente, nella quale precede Mads Pedersen e Peter Sagan.
La volata vincente di Sam Bennett
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