In un tempo in cui la Germania era frazionata dal punto di vista politico, sociale e culturale, anche il settore automobilistico risentiva di questa divisione forzata. Da una parte, a Ovest, le grandi Case nate già tra gli anni Dieci e Trenta: BMW, Mercedes-Benz, Porsche. Dal lato opposto, a Est, due aziende “in concorrenza”.
Nella Germania comunista, infatti, ci sono due soli Marchi. Uno è Wartburg, poi conosciuto come Eisenach, che proponeva prezzi un po’ alti. E poi c’è Sachsenring, con sede nella città di Zwickau, adatta al consumo popolare. Ed è proprio dalle fabbriche di Zwickau che nel 1957 nasce quella che viene considerata la “macchina del popolo” della DDR.
L’influenza comunista è ovviamente determinante. Innanzitutto nella carrozzeria: definirla “spartana” è il massimo che ci possiamo concedere. Fuori, la vettura è piccola, pratica, adatta agli spostamenti urbani e nulla più. Dentro, un inno alla sobrietà. Viene iniziata a costruire il giorno esatto dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, e all’uscita le viene affibbiato il nome di “Trabant” (“satellite”) in onore della recente avventura spaziale dello Sputnik sovietico.
La Trabant costituirà fino al crollo del Muro di Berlino l’auto per antonomasia della Repubblica Democratica Tedesca. Ha una particolarità che la differenzia da tutte le altre auto. Anzi, due primati. È infatti non solo la prima automobile di sempre ad essere realizzata con la plastica, ma anche la prima della storia costruita con materiali riciclati.
In pratica, gli ingegneri Sachsenring prendono ampi quantitativi di lana e cotone non utilizzati, li impregnano con delle resine e creano così il Duroplast, il materiale plastico con cui viene creato il telaio delle Trabant.
Ci sono ovviamente vantaggi e (più) svantaggi. Il Duroplast ha il pregio di essere economico (va da sé…), leggero e robusto, non poco resistente agli urti. I difetti: non bisogna sollecitare troppo la vettura. Troppi urti provocherebbero infatti una rottura definitiva del telaio, e i costi di riparazione sarebbero eccessivi. Insomma, caro guidatore, vai piano altrimenti rischi grosso.
Ecco perché la motorizzazione delle Trabant, qualsiasi modello essa sia, è veramente modesta. Il primo modello di serie, Trabant P50, è spinto da un motore a due cilindri da neanche 500 cm³, 18 CV e velocità massima di 95 km/h. Trabant 601, il modello più longevo e famoso, che durò addirittura dal 1964 al 1990, aveva 22 CV e impiegava poco meno di 30 secondi a raggiungere lo 0-100 km/h (non che ci provassero in molti, intendiamoci).
Tutte queste caratteristiche fecero sì che un altro elemento per cui Trabant passò alla storia fu il fumo che fuoriusciva dai tubi di scarico. Al giorno d’oggi, con la questione delle emissioni di CO2 e delle norme anti-inquinamento, sarebbe al primo posto della lista nera.
Cosa rimane, allora, della Trabant? Gli oltre 3 milioni di esemplari prodotti, lo status di auto simbolo di un popolo che per più di quarant’anni poteva, doveva, mettersi al volante di una macchina come quella.
Oggi, per incontrarla dal vivo, bisogna recarsi nell’est Europa o tra i ghiacciai islandesi, dove ancora qualche “appassionato” le fa fare qualche giro in strada. Oppure si può ammirare in forma di graffito sui resti di quel Muro caduto il 9 novembre di trent’anni fa. Che con il suo crollo pose fine a un intero mondo. E anche a una vettura piena di difetti, ma con un posto di diritto al tavolo delle auto storiche.
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