E adesso? Semplice, adesso si ricomincia da capo. Non è stata la prima e non sarà l’ultima volta che una fusione abortisce sul nascere e a Fiat era già capitato di prendere qualche “musata” con i francesi. Negli anni ‘30 capitò a nonno Agnelli con la Simca, dopo la guerra ci fu l’anteprima “fallita” con la stessa Renault, poi replicata negli anni ‘90 e in questi giorni, sempre frenate dai politici dell’epoca. A fine anni ‘60 fu l’opposizionme di Pompidou, allora premier, a negare a Fiat l’acquisto della Citroën poi passata a Peugeot nel 1974. E questo tira e molla con PSA va avanti anche ai giorni nostri, precisamente dal 2016, tra ammiccamenti, mezze propoiste e zero conclusioni.
Potessimo consigliare Elkann gli diremmo di lasciare i francesi a casa loro e di guardare altrove. Anche se non ci meraviglierebbe che avesse qualche asso nella manica. Ad esempio, quel pranzo non smentito di domenica scorsa del Presidente FCA con Robert Peugeot, potrebbe lasciar intuire una possibile riapertura di scenari inattesi. Anche se la composizione societaria di PSA è, possibilmente, peggiore di quella dell’Alleanza Renault-Nissan. Con dentro la famiglia Peugeot, i soci cinesi di Dongfeng e di nuovo lo Stato francese. E non si capisce perchè in questo caso dovrebbe essere più accondiscendente rispetto alla situazione Renault.
Per cui, al momento, l’unico scenario plausibile, logico, razionale, quello sul quale, non a caso stava lavorando Sergio Marchionne prima che la malattia se lo portasse via, era e resta un’alleanza con i coreani del Gruppo Hyundai proprietari anche di Kia. E in motivi sono evidenti. Con 7,5 milioni di vetture vendute nel 2018 (+3,2%) rappresentano il quinto costruttore al mondo. Insieme a FCA diventerebbero il primo. E soprattutto dal punto di vista tecnologico sono in grado di offrire a FCA piattaforme evolute, moderne e trasversali capaci di realizzare modelli ibridi, elettrici e anche a idrogeno, settore nel quale peraltro Hyundai ha lanciato il piano “Fcev Vision 2030”. Una pianificaizone che prevede il massimo sviluppo nel settore con la produzione di 500.000 sistemni di alimentazione a idrogeno entro il 2030, quando cioè la domanda dovrebbe salire a 2 milioni di unità. Tutto questo senza dimenticare che a inizio 2019 sono stati annunciati 44 modelli elettrificati per venderne 1,67 milioni nel 2025.
Al di là dei numeri, c’è la sostanza dell’industrializzaizone automobilistica coreana che si scontra solo con due aspetti. Da una parte non è facile convivere con chi è abituato a comandare senza condividere; dall’altra non sono esclusi a priori problemi con il presidente americano Trump. Perchè tramite FCA, il gruppo coreano avrebbe quell’accesso semplificato al mercato americano.
Alternative a Hyundai? Difficile da dire. Forse solo una, concretamente. I cinesi di Geely, già proprietari di Volvo, Lotus e azionista di maggioranza con il 9,7% di Daimler. A maggio 2017, il boss Geely, Li Shufu volò addirittura a Torino per incontrare John Elkann e offrire prima 25 e poi 27 miliardi di dollari. E anche se respinto con perdite, a gennaio di quest’anno erano tornate ricorrenti le voci di un nuovo assalto cinese. Insomma, FCA difficilmente resterà sola. E qualcuno con cui convivere, troverà. Per trovare le risorse e le piattaforme tecnologiche necessarie a completare la gamma veicoli, attualmente un po’ asfittica e lanciarsi definitivamente nella mobilità del futuro, anche per evitare, limitare le multe dell’UE che nel 2021 farà calare la mannaia della media delle emissioni di CO2 da tenere su tutta la gamma: 95 gr/km. Insomma, la fretta non manca, ma nemmeno la dignità di una tradizione.
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