C’era una volta il senso di marcia. Anzi non c’era. Al giorno d’oggi sembra scontato tenere la destra quando si viaggia sull’asfalto, ma dalla diffusione delle automobili è passato più di un secolo e non c’è da stupirsi se vi facciamo notare come ci sia voluto del tempo prima che si prendesse una decisione netta riguardo la circolazione dei mezzi. Cerchiamo di fare il punto.
Quando le automobili iniziarono a occupare le strade, i conducenti erano soliti guidare indifferentemente a sinistra, a destra e al centro della carreggiata: il traffico stradale era quasi inesistente, così come la velocità delle vetture, in più chi si spostava in auto annunciava il suo passaggio attraverso l’uso di clacson e trombette. Il primo caso di regolamentazione stradale arrivò il 28 luglio 1901, con il Regio Decreto n. 416: ogni provincia aveva il diritto di imporre limiti di velocità e stabilire il senso di marcia dei veicoli: un vero e proprio Codice della Strada locale. Capitava così che, nei lunghi viaggi, gli automobilisti si trovassero a spostarsi frequentemente dalla sinistra alla destra della carreggiata e viceversa, a causa delle diverse disposizioni tra città e città. Per esempio, a Venezia e Vicenza era in vigore la marcia a destra, mentre nella vicina Verona si preferiva la sinistra. A Ravenna tutti a destra, ma sulla strada per Porto Corsini un’”antica consuetudine” portava i conducenti a viaggiare sull’altro lato. A Trapani lo stesso prefetto dichiarò che “si era soliti tenere la destra, ma non sempre”.
Quando arrivò la Prima guerra mondiale, le avvisaglie che la situazione fosse un po’ confusionale divennero evidenti: dopo la terribile sconfitta subita a Caporetto nell’ottobre 1917, le truppe italiane dovettero indietreggiare fino al fiume Piave; un terribile ingorgo tra i rinforzi che salivano a Nord tenendo la destra e le forze che scendevano in ritirata marciando a sinistra causò la vita a migliaia di soldati. Ci vollero più di cinque anni per stabilire una regola che valesse per tutti: fu Benito Mussolini, appena nominato Presidente del Consiglio, a imporre un unico senso di marcia nel 1923, ma la via per trovare una soluzione fu piuttosto lunga.
L’Italia contadina, abituata a spostarsi su carri e muli, teneva poco conto delle disposizioni ufficiali preferendo di volta in volta la carreggiata più sicura per non cadere nei dirupi o per evitare mosse avventate da parte degli animali. Nella provincia di Perugia si verificava un alto tasso di mortalità a causa dell’incertezza sull’argomento e delle strade rurali. Nell’evitare fossi e fango, i conducenti dei carri si spostavano spesso al centro della carreggiata incontrando spesso l’incedere delle automobili, con conseguenze spesso tragiche. Milano, Torino, Roma erano città con la guida a sinistra, ma nelle loro periferie si indugiava alla guida a destra. All’annuncio dell’obbligo di guida a destra, i prefetti di queste città si opposero volendo imporre la loro abitudine, ma un rapporto del Regio commissario Cremonese di stanza a Roma, illustrava la scomoda situazione stradale perché i tram – e tutto il sistema della linea tramviaria – viaggiavano a sinistra. L’obbligo della destra sarebbe costato sei milioni alla Capitale per adattarsi alla nuova legge, ma si trovò un compromesso. Il 31 dicembre 1923 la legge fu controfirmata dal Re e sanciva la mano destra come unico senso di marcia a livello nazionale, concedendo una proroga di due anni alle amministrazioni per modificare segnaletica e linee tramviarie. Il resto è storia attuale.
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