Citroen e Flaminio Bertoni, L'Italian Furioso

Un pessimo francese ma un grande cervello in fuga. È il 1931 quando Flaminio Bertoni, considerato come uno dei maggiori stilisti d’automobili di tutti i tempi, approda definitivamente in Citroën e lascia la Macchi, la famosa Carrozzeria varesina. In Italia lo prendevano in giro sin da quando era un apprendista lattoniere. Eppure Bertoni, definito poi “L’italian furioso” in Francia, la gavetta alla Macchi l’aveva portata avanti con talento e successo: partito dall’adolescenza come falegname, presto fu promosso a capo disegnatore per la sua indiscutibile abilità a “vedere” le automobili, a disegnarne visioni futuristiche.

Cresciuto nel mito di Leonardo da Vinci, ne studiava disegni e opere, una passione parallela a quella per Michelangelo Buonarroti: a loro dedicava le notti di studio e lettura. Tanto che la madre spesso faceva fatica a mandarlo a dormire. Così è nata la passione per il disegno artistico e per la scultura. Seguito da vicino da Giuseppe Talamoni, Lodovico Pogliaghi ed Enrico Butti lavorava, studiava, disegnava e modellava.

A vent’anni e poco più era stato notato da una delegazione francese in visita alla Macchi, dove , lo spinsero a dedicarsi ad una missione professionale esplorativa in Francia. Due anni dopo prese coraggio e si presentò davanti ad André-Gustave Citroën con un’idea e un brevetto molto interessante: un “saliscendi pneumatico per i finestrini di automobili”.   L’uomo si rivelò da subito quello giusto, in grado di apprezzare le invenzioni e le avanguardie tecnologiche.

Fu proprio il fondatore del Marchio Citroën che lo convinse a rimanere lì, per tre anni e fino al 1925. Aveva un pessimo francese e un pessimo carattere: per questo Bertoni, che sapeva imporsi molto bene e aveva poca propensione alla diplomazia, divenne “L’Italiano Furioso”. Tornando in Italia, riuscì ad aprire il suo studio e a collaborare con le carrozzerie della zona, partecipando a una serie di mostre. 

Siamo nel 1931, l’anno della svolta. Flaminio torna in Francia, chiamato da André Citroën su consiglio della moglie Giorgina (cui il Fondatore aveva affidato le scelte stilistiche e non solo). La donna apprezzava il gusto del disegnatore varesino: fu assunto per modernizzare le linee delle automobili e trovare uno stile più originale, in opposizione alla scuola americana.

Il , inizialemente c’erano solo delle indicazioni, ma non una visione precisa che invece Flaminio Bertoni progettò in una notte, lasciando da parte carta e schizzi di matita per realizzare un modello in creta in modo da dare forme reali alla visione disegnata. Così nacque la Citroën Traction Avant, rivoluzionaria e leggendaria grazie alla grande calandra, al profilo basso e ai parafanghi rotondi ed allungati, proprio come le ali del cigno alle quali si è ispirato Bertoni. Era l’inizio di una nuova era stilistica dell’automobile, sulla Traction Avant si entrava e non si saliva, aveva freni idraulici, la trazione anteriore.

Un successone, l’opinione pubblica veniva a conoscenza di tutte le novità progettate da Citroën nell’era di Bertoni, si parlava di carrozzeria aerodinamica, un faro solo, sospensioni pneumatiche, tergicristallo avvolgente, parcheggio della vettura, cambio automatico, colori vivaci per le carrozzerie, sedili ad amaca, aria condizionata, insomma una vera svolta purtroppo frenata nel 1940 dalla guerra.

Ma nonostante le vicissitudini, Flaminio Bertoni aveva già in testa e nei suoi modelli l’erede della Traction Avant, un’auto destinata a diventare un mito fin dalla sua uscita nel 1948: il progetto si chiamava VGD (Veicolo Grande Diffusione), la vettura fu lanciata con il nome di 2 CV, storia dell’auto in tutto il mondo, un’icona per Citroën.

Come al solito un modello nato da una disputa: Pierre Boulanger, il direttore del Brand, aveva commissionato al suo staff un’auto accessibile a tutti, in grado di trasportare due contadini e un cesto di uova sullo sterrato senza che si rompesse un solo uovo. Non doveva essere bella, ma utile.

Bertoni si ribellò: “Se non dev’essere bella, facciamola almeno simpatica”. Andò ben oltre, entrò nel mito , ma già pensava a un’altra vettura iconica, la DS, lanciata con un evento epocale nel 1955, nata con una domanda ben precisa: “Può un’auto essere un’opera d’arte?” e la risposta affermativa è giunta dal successo. E successivamente alla Ami 6, nel 1961, rivoluzionaria, oltre le regole, con il tetto sostenuto dai montanti disegnati all’indietro, verso la carrozzeria.

Ma rapido anche nel lasciare questo mondo, a soli 61 anni, quando si spense il 7 febbraio 1964 per ictus cerebrale. Il direttore d’una rivista d’arte francese ne scrisse il necrologio: “Flaminio Bertoni, scultore di talento che noi perdiamo. Siamo costernati alla notizia della sua prematura morte. È stato uno spirito superiore ed un’anima sincera. Faceva parte dell’élite che si eleva al di sopra di quella che noi osiamo chiamare “Società umana”.


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/motori

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