Il celebre giornalista inglese Jeremy Clarkson usò parole evocative per lei: “la macchina ideale per fare un giro nell’esclusivo quartiere di Mayfair, o per sostare di fronte la vetrina di Tiffany”. Stiamo parlando di Aston Martin DB7 e non potremmo essere più d’accordo.
Clarkson, con il solito estro che lo contraddistingue, definì addirittura la granturismo in questione come la cosa più bella da vedere che l’uomo abbia mai realizzato.
Il placet di Clarkson non può che essere un dato significativo, quando guardiamo indietro all’evoluzione e alle caratteristiche di DB7, l’Aston Martin più venduta di sempre.
Il progetto prende forma a inizio anni Novanta, quando a Gaydon decidono di trovare un’erede alla V8, coupé di punta del Marchio per ben 17 anni. Ford, già dal 1988 proprietaria di Aston Martin, pensa alla parte finanziaria, coadiuvata da Jaguar. A disegnarla, Ian Callum, che si trova di fronte al primo grande progetto della sua carriera, dopo aver realizzato la Ford RS200 ed Escort Cosworth. Assieme a lui, il sudafricano Keith Helfet, colui che aveva progettato la Jaguar XJ220, XK180 e F-Type.
Non a caso, dato che la nuova vettura, che prende il nome in codice NPX, viene costruita sulla piattaforma della XJS, seppur con molte differenze.
La versione base è quella coupé, che monta un 6 cilindri da 335 CV e 490 Nm di coppia, per una velocità di punta di 274 km/h. Insomma, la macchina viaggia che è una meraviglia, se non fosse per l’abitacolo, da alcuni considerato un po’ troppo stretto, soprattutto nel lato guidatore. Dettagli sopportabili, per chi può permettersi di acquistare la vettura e farsi ammaliare dal suono del motore.
E nel 1996, due anni dopo la messa in produzione della coupé, esce anche la versione cabriolet, con identica motorizzazione, e che negli Stati Uniti, e solo in quel mercato lì, usufruisce anche del pacchetto “Driving Dynamics”, che come suggerisce il nome migliora le prestazioni di guida.
Le vendite di Aston Martin DB7 decollano, toccando quota 7mila esemplari prodotti, massimo storico del Marchio tuttora ineguagliato.
Nel 1999 a Gaydon decidono di potenziare ulteriormente la vettura. Nasce così DB7 V12 Vantage, presentata al Salone di Ginevra di fine millennio. Le novità sono tutte per la motorizzazione: viene infatti introdotto un V12 6 litri da 420 CV e 542 Nm, con velocità che sfiora i 300 orari (con il cambio manuale a sei marce) e i 266 (con l’automatico a cinque rapporti). Cinque, i secondi necessari per fare lo 0-100.
Prestazioni al top, che fanno sì che nel corso degli anni vengano prodotte altre numerose versioni speciali, tra cui anche un progetto per un prototipo da corsa, poi accantonato.
Il successo andrò poi scemando. Già nel ’99 le vendite avevano registrato un calo, tanto da indurre Aston Martin a cercare una degna sostituta. Nel 2001 la produzione della DB7 cessò definitivamente (a parte un colpo di coda di altri due anni nel mercato nordamericano), lasciando posto alla Vanquish, altra auto ad essere progettata da Ian Callum.
Lo confessò anche Jeremy Clarkson: com’era bella da vedere, l’Aston Martin DB7.
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