La mente pensante dell’Italia in questi mondiali volley femminile è la palleggiatrice Ofelia Malinov, in forza la scorsa stagione alla Foppapedretti Bergamo e ora della Savino Del Bene. L’alzatrice azzurra si racconta in una intervista riportata dal sito , iniziando col raccontare di come all’inizio giocasse come schiacciatrice, e fu solo in seguito, per consiglio del padre, di cui si fida moltissimo, che decise di cambiare ruolo e passare a quello di alzatrice, grazie al quale ha potuto intraprendere una strepitosa carriera che l’ha portata a essere titolare inamovibile in questo mondiale:
“A dire il vero sono nata attaccante. Poi papà, che di pallavolo un po’ ne capisce…, mi ha detto che se volevo arrivare in alto dovevo cambiare. All’inizio ero incazzata: mi piaceva essere quella che metteva giù l’ultima palla. La bellezza di essere al servizio delle compagne l’ho apprezzata dopo”.
Passare dal ruolo di schiacciatrice a quello di alzatrice non è stato quindi facile per Ofelia, che però ha saputo poi, col tempo, capire la decisione del papà, che ha trovato il modo di valorizzare il più possibile le caratteristiche tecnica della figlia, che oggi ci sta facendo sognare con le sue prodezze sotto rete e con la capacità, quasi magica, di capirsi con le attaccanti Bosetti, Sylla e Egonu, che lancia con grandissima facilità, cosa che non riuscivano a fare le alzatrici che l’hanno preceduta.
Segnare punti è senza dubbio bello, ne sa sicuramente qualcosa Paola Egonu, che segna punti a raffica, ma questo non sarebbe possibile senza la manovra ben orchestrata dell’intera squadra e all’ultimo passaggio della palleggiatrice, che è in pratica il ruolo chiave nel volley.
Se si domanda a Ofelia il eprché della scelta della pallavolo come sport l’alzatrice azzurra risponde semplicemente:
“Beh, ce l’ho nel sangue! Però i miei non mi hanno mai forzata. Prima avevo provato nuoto, tennis, ginnastica. Finché, a 10 anni, ho scelto la pallavolo. Così papà ha lasciato la Serie A e ha fatto una squadretta di ragazzine per insegnarmi. Mia mamma, che aveva smesso dopo la nascita delle gemelle, è venuta a giocare con noi. Lo fa ancora adesso, nonostante gli acciacchi dell’età: ha ricominciato la trafila con le mie sorelle, Emma e Michela che hanno 15 anni. Lei 50…”.
Un papà allenatore e una mamma compagna di squadra per la giovane Malinov, che è potuta crescere nello sport senza trascurare l’affetto verso i propri genitori, un affetto che si è poi tramutato in stima, perché ogni sacrificio fatto è stato fatto per il bene della famiglia. E se le domandiamo se le sembrava strano avere i genitori come allenatori Ofelia risponde tranquillamente:
“Al contrario: mi è sembrato strano dopo, quando sono andata via. Poi papà non era uno di quelli che mi privilegiava, anzi: se c’era qualcosa che non andava era sempre colpa mia Papà mi ha insegnato a Non mollare mai, mettere tutta me stessa se voglio davvero qualcosa. È uno duro, ma mi ha sempre sostenuta quando le cose non andavano bene. Nel 2015, quando sono andata al Club Italia: ero a Bassano da tre anni e mezzo, sempre con papà in panchina, e a metà stagione mi hanno chiamata a Milano. L’anno dopo abbiamo fatto l’A1 con Bonitta: è stato davvero difficile, perché finché c’erano i miei ero protetta da tante cose, poi mi sono resa conto di essere da sola”.
Per Club Italia, squadra che ha potuto lanciarla nella pallavolo professionistica, la giovane Ofelia ha dovuto abbandonare i genitori, professionalmente parlando, cosa che non è stata facile ma fu necessaria per diventare professionista:
“Specialmente per i miei non è stato facile, mamma era disperata! Non volevano, sapevano a cosa sarei andata incontro e che, a 17 anni, non sarei stata pronta ad affrontare certe cose. Invece per me era il momento giusto per mettermi alla prova. Ripensandoci ora, non so se lo rifarei. Ammiro i miei genitori, mi piaceva un sacco, mi ha sempre reso orgogliosa sapere che avevano raggiunto certi risultati”.
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