La sacrosanta libertà di scegliere il proprio sport

Di Stefano Benzi

Banalità, abitudini… siamo convinti che il nostro sia un paese libero, democratico, dove chiunque può sostenere a gran voce quello che ritiene giusto. E invece secondo l’annuale resoconto di Reporter Senza Frontiere l’Italia è solo al 52esimo posto nella graduatoria per la libertà di stampa e l’accesso all’informazione. Non benissimo, ma nel 2016 eravamo messi anche peggio… 77esimi. Chissà cos’è successo per migliorare l’immagine residua del nostro paese.

Una volta si diceva “sei quello che mangi” oggi – forse perché in programmazione televisiva ci sono la bellezza di trentadue programmi che si occupano di cucina – il detto è cambiato… “sei quello che vedi”. Ecco perché leggo sempre di più e guardo sempre meno televisione.

Ma c’è un’altra cosa che viene analizzata da numerose associazioni, su tutte Human Rights Now. Ed è la libertà di autodeterminazione. Scegliere la propria religione, quella che hai deciso tu e non quella che ti è stata imposta dai genitori; scegliere il proprio partner, indipendentemente dal sesso, dalla razza o dalle sue risorse economiche; scegliere il proprio lavoro, anche a costo di sbatterci il naso; scegliere il proprio sport… o quanto meno avere il diritto di avere anche una vita sportiva.

Credetemi, non è una cosa così banale e scontata neanche da noi. Seguitemi per un istante, parto da un esempio paradosso che ho riscontrato con i miei occhi. Una ragazzina di grande talento costretta sui campi da tennis dal padre: una decina di anni buttati perché la ragazza – per quanto talentuosa – non aveva alcun piacere di giocare a tennis. Ci sono voluti molti anni, parecchie sconfitte a una gran quantità di sfuriate e di liti per costringere il padre a mollare la presa. Vederli litigare sul campo da tennis era semplicemente molto triste.
Ora questa ragazza fa la mamma, aiuta il suo compagno nella gestione di un bar e va in bici. Quando le chiedo “come stai?” mi risponde “Libera”… Il rapporto complicatissimo con suo padre non lo ha mai definitivamente risolto: forse perché lui non le ha mai perdonato di essersi liberata.

Conosco decine di padri che vivono attraverso le gesta sportive dei figli: calcio soprattutto, ma anche ginnastica, ballo, atletica piuttosto che nuoto. Se sapeste quanti ragazzi continuano a fare calcio per non dare una delusione al padre vi preoccupereste. La pallavolo è diversa? Onestamente non lo so, forse sì. Occorrono anni, tempo, risorse e investimenti non solo economici: ma è un preciso dovere delle società grandi e piccole fare in modo che tutti quelli che vogliono fare sport, a qualunque livello, possano farlo. Ormai abbiamo abbandonato da un pezzo l’idea della gratuità: fare sport costa. Basta che siano costi accettabili e che soprattutto si crei un valore aggiunto per i nostri ragazzi che dev’essere la compagnia, se non addirittura l’amicizia.
Volevo scrivere poche righe per introdurre un argomento importante che riguarda sempre la libertà di fare sport. Ma l’argomento mi ha preso la mano. Facciamo che al prossimo post ripartite direttamente da qui…

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