Us Open, l'incredibile Todd: raccattapalle senza età e senza una gamba

ROMA – Raccattapalle a chi? A lui. A Todd Reed, splendido 58enne. “Faccio il raccattapalle con gioia, mi fa sentire ragazzino come tutti quelli che ho intorno e con cui mi alterno sui campi”. Allo Us Open 2018 ha “debuttato” ieri sul campo 15 mentre giocavano l’azzurro Sonego e il lussemburghese Müller, un fulmine, ad un certo punto gli è cascato l’asciugamano dell’italiano, si è girato come un cestista e l’ha quasi raccolto al volo. Non è da tutti. Non te l’aspetti da un signore mascherato da adolescente che ha fatto la guerra ed è tornato a casa senza una gamba. Todd è nel tennis alla sua maniera, cercando la perfezione in ogni gesto. Lo scambi per un giudice di linea, per l’età, ma di fatto raccatta palle dal 2014. Prima faceva l’infiltrato per la narcotici. Poi la guerra, l’Iraq, dove una mina gli ha portato via mezza gamba destra. L’unica condizione che si chiede e che chiede allo Us Open è di lavorare con due vistosi tutori neri che gli fasciano la gamba sinistra e quel che resta della destra, facendole sembrare quasi identiche anche all’aspetto, se non fosse per quella protesi che sino a qualche anno fa rifletteva i colori del paese che ha difeso con le armi in pugno, il rosso, il bianco e il blu, e che adesso ha eliminato (gli hanno suggerito di farlo e lui non ha battuto ciglio). E’ ancora un atleta, ma anche l’orgoglioso nonno di tre orgogliosi nipotini. E’ circondato da ragazzini, i più giovani hanno 14 anni, i meno giovani arrivano a 29. Al suo quinto Us Open, Todd Reed diventa un’ispirazione per tutti i suoi “colleghi”: “E’ nettamente il più reattivo e in forma di noi tutti”, dicono all’unisono.

L’unica turnazione che salta è quella del raccattapalle accucciato accanto alla rete. Prorprio non può. L’ispirazione viene anche dal fatto che Todd ha qualcosa che racconta di sé e che è tutti possono vedere, i tatuaggi. Ogni tanto si mette lì, come una specie di grande vecchio, con gli altri intorno, a spiegare i misteri della vita e i suoi lati più affascinanti o pericolosi. Poi per dare concretezza alle sue parole ostenta il pennacchio delle Special Forces marchiato sul braccio sinistro e il logo della squadra di softball per amputati sulla gamba sinistra. Più di tutti gli altri, per Todd fare il raccattapalle non sarà mai una questione di soldi: allo Us Open i 275 raccattapalle guadagnano 11 dollari l’ora tasse incluse. Per i ragazzini va bene, qualcuno rischia di portarsi a casa 30/35 dollari al giorno. Per lui, che ha una pensione da veterano e da invalido, è soltanto un piacere remunerato: “Compro un regalo ai miei nipoti”. Insomma raccattapalle nel cuore in nome di un servizio già reso al mondo che lo accoglie: “Ma non chiamatemi ball boy, preferisco ball person!”. Al tennis ci è arrivato grazie alla curiosità di lettrice sempre mostrata da sua moglie Renée, che un giorno, su un quotidiano della loro Carolina del Nord, lesse che la federtennis americana aveva stretto una collaborazione con l’esercito: “Prendiamo volontari e disabili”. Renée esclamo: “Todd, è l’occasione della vita, ti capita una sola volta”.

L’idea di entrare nel Guinness come il raccattapalle “meno giovane” di tutti i tempi, sulle prime, non lo esaltava. Poi si convinse. Ma soltanto perché gli fecero sapere che era vero, sarebbe entrato nel Guinness, ma non come il “meno giovane”, bensì come il “meno giovane amputato” raccattapalle di sempre. Nel 2013 aveva lasciato il più anziano: Jerry Loughran, che di anni ne aveva addirittura 65. Appena arrivato, cinque anni fa, la prima cosa che notò il sergente che era in lui furono certe somiglianze con la disciplina militare: “I raccattapalle debbono lavorare come una squadra e anche secondo un certo ritmo, che deve essere rispettato da tutti, e poi c’è anche un aspetto, diciamo così, coreografico”. Lui, per esempio, non si paralizza platealmente una volta che ha dato le palline al giocatore. Rimane leggermente più morbido: “Ma è soltanto perché non posso estendere bene le ginocchia. Mi hanno sempre perdonato”. Non perdonò invece quella mina alla sua seconda missione in Iraq. Era fuori Mosul in una bella mattina di aprile del 1991: “Passai il peso del corpo dal piede destro a quello sinistro e…”. Bum. Rimase sempre cosciente e per sei settimane, una volta tornato a casa, lo curarono, senza illuderlo mai, al Walter Reed Army Medical Center di Washington. Quindi sei mesi di riabilitazione. E adesso pensa: “Se qualcuno mi avesse detto che un giorno molto lontano sarei diventato una “ball person” dello Us Open, avrei risposto: sì vabbé…!”. Intanto Roger Federer non fa che ringraziarlo. “E questo mi basta”.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml

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