LONDRA – È diventata una maratona imprevista la sfida dei giganti, dei grandi servitori, ed è stata vinta da Kevin Anderson, che si è imposto su Jonh Isner con il punteggio di 7-6 (8/6), 6-7 (5/7), 6-7 (9/11), 6-4, 26-24, un partita iniziata alle 14 e chiusa alle 20,45 che ha accompagnato gli appassionati dal pomeriggio fino a ora di cena. Con 6 ore e 32 minuti è il secondo match più lungo della storia di Wimbledon, dopo le 11 ore e 5 minuti della sfida tra lo stesso Isner e Mahut del 2010 (70-68 al quinto): ieri hanno superato le 5 ore e 31 di Cilic e Querrey del 2012.
Sua la prima semifinale, sarà dunque lui a rappresentare la categoria dei lungagnoni (Kyrgios, Karlovic, Raonic) nella finale di Wimbledon 2018 di domenica, contro il campione dei ribattitori, uno tra Nadal e Djokovic. Il match della seconda semifinale è stato interrotto per limiti di tempo sul 2-1 in favore del serbo. Altro che fast tennis: questa partita ha rimpolpato le fila di chi vorrebbe un tennis meno ‘bum bum’, meno influenzato dalla potenza dei servizi, in modo che lo sport della racchetta venisse rallentato e magari venisse reintrodotto il tie-break anche nell’ultima frazione di gioco.
In effetti l’equilibrio tra il sudafricano e l’americano è stato quasi imbarazzante, nella loro battaglia di servizi. Persino noioso. Tanto che i primi tre set non potevano che essere decisi dal tie-break: il primo ha premiato Anderson, il secondo e il terzo invece Isner. Peccato che poi l’americano non sia riuscito a capitalizzare il vantaggio e a chiudere nel quarto set, subendo invece la rimonta, disperata e orgogliosa del sudafricano, l’uomo che ha fatto piangere Wimbledon per aver eliminato Federer ed essere riuscito a interrompere la striscia consecutiva di servizi di Isner: 110. L’americano non aveva mai perso il servizio in tutto il torneo.
Dunque, il quinto set: forse a Isner devono essere riapparsi i fantasmi del match-record con Mahut di Wimbledon 2010, quello che lo ha visto protagonista, il più lungo della storia del tennis professionistico. Sfida equilibrata, ma è sempre stato l’americano ad avere problemi: sul 7-7 ha salvato con un ace la palla break di Anderson, cosa che si è ripetuta quattro games dopo. Ma nessuno dei due ha davvero lasciato intuire di poter chiudere la vicenda per propri meriti, per una propria strategia, piuttosto che per gli errori da stanchezza dell’altro. Poi, sul 17-17 e servizio Isner, Anderson si è issato a 15-40, ma ancora una volta due aces dell’americano hanno evitato il peggio.
Si è andati avanti, senza altri colpi di scena fino al 24-24, servizio Isner e 0-30: Anderson scivola ma, con la mano sinistra, quasi da terra, riesce a rimandare la palla dall’altra parte del campo ottenendo poi lo 0-40 e, infine il break, dopo 6 ore e 32 minuti. Al cambio di campo, e sul suo servizio, il sudafricano riesce finalmente a ottenere due match point chiudendo la maratona in 6 ore e 36 minuti.
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