Serena Williams, una sconfitta anche per la maternità

Il parere della Psicoanalista

Dopo quanto è avvenuto durante la finale dell’US Open, le immagini di una Serena tenera e materna con la piccola Olympia, ostentate dai media di tutto il mondo, sono offuscate da quelle di una donna che ha perso il controllo delle sue emozioni, che spacca con violenza inaudita la racchetta in seguito a una decisione arbitrale che non condivide ma che lei, prima tennista al mondo, dovrebbe essere in grado di accettare…

Al bell’articolo di M. Mazzoni sul “caso” Serena, definito “una sconfitta per tutti”, si potrebbe aggiungere che rappresenta una sconfitta anche per la maternità, di cui Serena si fa paladina, e che da qualche mese sbandiera come se fosse l’unica donna ad avere partorito e a provarne le gioie. Ma è difficile riconoscere nella furia scatenata per un penalty point una mamma “serena”, appagata dalla relazione con la sua bambina che ha appena festeggiato il primo compleanno!

L’esagerata reazione per una decisione arbitrale, giusta o sbagliata che fosse, evidenzia l’intensità della carica di aggressività che la Williams porta dentro di sé. Proprio questa carica le ha permesso di diventare la più grande giocatrice di tutti i tempi. Tuttavia perderne il controllo può portare a situazioni difficili che possono addirittura mettere a repentaglio la sua stessa vita (come è già successo quando ha rischiato di morire di parto, o in seguito all’incidente al piede).

Per fortuna allora che ci sia un campo da tennis su cui scaricare questa aggressività, un arbitro, una raccattapalle (v. finale con Clijsters all’US Open 2009), un’avversaria come la Osaka che per età potrebbe quasi essere sua figlia (!), altrimenti dove e su chi andrebbe a finire? Ecco perché una campionessa che ha vinto tutto e che ha 37 anni, si ostina a continuare a giocare anche dopo la maternità!

Se Serena è l’esempio più eclatante, molte sono le tenniste che per lo stesso bisogno di scaricare le proprie pulsioni aggressive, hanno ripreso l’attività dopo la nascita di un bambino. La maternità infatti riattiva la pulsionalità della donna, per cui la scelta di riprendere l’agonismo diventa per alcune una necessità a cui non si possono sottrarre.Anche se questa loro attività spesso mal si concilia con la crescita di un neonato che necessita di continuità e di regolarità (e non di continui spostamenti) per affrontare le diverse tappe del suo sviluppo, non ne possono fare a meno, malgrado tutte le spiegazioni razionali addotte. Certo la scelta di Flavia Pennetta, che ha saputo dire basta a uno sport che avrebbe potuto ancora darle molto, appare molto più saggia e rispettosa del figlio! Ma anche in questo caso, più che dalla razionalità dipende dalla parte più profonda, che per ognuno presenta necessità diverse.

Tuttavia se come dice la ex nazionale di sci, Maria Rosa Quario “Un’atleta che diventa mamma dovrebbe soprattutto pensare a trasmettere la sua grande passione ai figli, facendo vivere loro, più che il ruolo di tifosi di una mamma campionessa, quello di protagonisti, seguiti con amore da una mamma competente” per “i bambini del circuito” è certamente meglio una mamma che sfoga la sua aggressività in un match di tennis piuttosto che in altre situazioni in cui potrebbero essere implicati anche loro!

Marcella Marcone

Marcella Marcone, Psicoanalista e Psicoterapeuta, collabora da anni nel mondo dello sport e del tennis in particolare. Ha pubblicato vari libri sulla gravidanza e sul tennis, focalizzandosi sugli aspetti mentali degli atleti. Dirige il progetto maternita360.it


Fonte: http://feed.livetennis.it/livetennis/

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