Solo il Team Red Bull salva la stagione 2018 della Renault in F1


Mercedes, 655 punti. Ferrari, 571 punti. Red Bull, 419 punti. Questo recita la classifica Costruttori 2018. Al di là della differenza di punti intercorsa tra le tre scuderie dominatrici del Mondiale di Formula 1 2018, le “tre sorelle” hanno offerto una battaglia senza esclusione di colpi (anche letterali…). Ed è proprio il team anglo-austriaco ad emergere prepotentemente, ergendosi ad autentica sorpresa-certezza del Mondiale appena archiviato. La ragione è presto detta: sono le Red Bull RB14 condotte da Max Verstappen e Daniel Ricciardo a salvare, ancora una volta, la stagione della Renault.

La RB14, equipaggiata con la “power unit” Renault R.E.18 V6, è stata in grado di contrastare — nelle prestazioni, meno per quanto concerne l’affidabilità — Mercedes e Ferrari. Max Verstappen ha agguantato il 4° posto nel Mondiale Piloti (249 punti), alle spalle di Lewis Hamilton (408), Sebastian Vettel (320) e Kimi Räikkönen (251). L’olandese, che nella seconda metà di stagione ha macinato punti e risultati, ha ottenuto due vittorie: GP d’Austria e GP del Messico. Convincente, benché tartassato da una precaria affidabilità della sua RB14, anche l’australiano, autore di due pole-position (Monaco e Messico) e di altrettante vittorie (Cina e Monaco). Solo la malasorte costringe il sempre generoso Ricciardo al 6° posto in campionato (170 punti, alle spalle di un poco incisivo Valtteri Bottas, 247, su Mercedes F1 W09). Una vettura, quella realizzata dallo staff tecnico capitanato da Adrian Newey (Chief Technical Officer), assai competitiva e, probabilmente, ancora al vertice nei settori telaistico ed aerodinamico. Tra gli artefici della ottima RB14 altri “pezzi da novanta”: Rob Marshall (Chief Engineering Officer), Dan Fallows (Head of Aerodynamics), Pierre Waché (Technical Director), Paul Monaghan (Chief Engineer, Car Engineering).

Unica nota dolente, la motorizzazione francese (ribattezzata TAG Heuer) realizzata e sviluppata a Viry-Châtillon. Benché migliorato nel corso degli anni, il V6 Renault — e relativi moto-generatori elettrici — palesa ancora evidenti lacune (soprattutto relativamente alla potenza erogata dal V6 Turbo + MGU-K e MGU-H) rispetto alle più esuberanti “power unit” Mercedes e Ferrari. Un rapporto, quello tra Red Bull e Renault, che ha maturato successi e trionfi nell’era dei V8 di 90° aspirati di 2400cc ma, ormai, giunto al capolinea. Insanabili attriti e reciproche dichiarazioni al veleno rendono tal rapporto non più rinnovabile. Nel 2019, dunque, le nuove Red Bull — affidate a Max Verstappen e Pierre Gasly — saranno azionate dal V6 Turbo ibrido Honda. Un salto nel vuoto. Fatto è che la scuderia con base a Milton Keynes salva, ancora una volta, la stagione della Renault.

Di diverso segno è stata l’annata del Renault Sport Formula One Team. Le Renault R.S.18 affidate a Nico Hülkenberg e Carlos Sainz, infatti, non hanno mai brillato e mai impensierito Mercedes, Ferrari e Red Bull. Una stagione anonima, incolore, sì in crescita rispetto ad un ancor più opaco 2017 (122 punti conquistati nel 2018 contro gli appena 57 racimolati nel 2017) ma ancora in salita e distanti dalla vetta. Hülkenberg conclude al 7° posto finale (69 punti), Sainz al 10° (53 punti). Nessun podio, nessuna pole-position, mai un guizzo. La Renault, dal canto suo, chiude il Mondiale Costruttori in quarta posizione (122 punti), lontanissima dai primi e appena davanti alla Haas-Ferrari (93), scuderia dalla invidiabile costanza ed in grado di piazzare Kevin Magnussen di una incollatura davanti a Sainz in classifica generale (56 punti).

La monoposto realizzata sotto la direzione tecnica di Nick Chester e Bob Bell (Chief Technical Officer) è apparsa regolare nelle prestazioni ma mai realmente convincente. A differenza della Red Bull, il motore non ha lamentato scarsa affidabilità, fattore (positivo) che ha consentito ad Hülkenberg e Sainz di ambire costantemente alla zona punti: in una sola occasione, infatti, il Turbo del V6 francese ha ceduto in gara (GP d’Austria, Hülkenberg). Dunque, se da un lato il motore nato sotto la direzione tecnica di Rémi Taffin (Engine Technical Director) ha palesato una ottima affidabilità, dall’altro si constata la netta inferiorità del telaio della R.S.18 rispetto alla Red Bull RB14, vettura quest’ultima decisamente estremizzata la quale, al contempo, può mettere in crisi la “power unit” francese ma è capace di sopperire alle prestazioni non particolarmente esuberanti del motore transalpino grazie a telaio ed aerodinamica invidiabili e al vertice della categoria.

A chiudere questa virtuale piramide firmata Renault vi è, inevitabilmente, la McLaren. La stagione del team di Woking si è rivelata un (ennesimo) totale fallimento: Fernando Alonso ha raccolto 50 punti (11° posto in classifica generale), Stoffel Vandoorne appena 12, magro bottino che gli vale il 16° posto finale. Peggio del belga solo Marcus Ericsson (Sauber  C37-Ferrari, 9 punti), Lance Stroll (Williams FW41-Mercedes, 6 punti), Brendon Hartley (Toro Rosso STR13-Honda, 4 punti) e Sergey Sirotkin (Williams FW41-Mercedes, 1 punto).

L’abbandono del “rognoso” e pigro motore Honda — causa di tanti mali durante gli anni 2015-2017 — si pensava potesse risollevare le sorti di una scuderia ormai precipitata nei bassifondi delle classifiche. Rispetto al 2017, si registra un tenue progresso: 30 punti totalizzati dalla McLaren nel 2017, 62 in questo 2018 (e 6° posto nel Costruttori). Miglioramenti i quali, però, non mutano la sostanza della realtà. E la realtà ci consegna una McLaren ancora in alto mare, risucchiata da una evidente involuzione tecnica che sembra senza fine. A parità di motore, Red Bull e Renault hanno annichilito la arancione vettura affidata ad Alonso e Vandoorne. Come mai? Le ragioni sono presto dette: il telaio e l’aerodinamica sviluppati da Tim Goss, Matt Morris e Peter Prodromou si sono rivelati non competitivi e funzionali. Ed è così che ad un primo scorcio di campionato positivo (Alonso va a punti in occasione dei primi 5 GP), seguono gare in cui la McLaren MCL33 è costretta a raccogliere briciole qua e là ed una sequela di delusioni. Affidabilità precaria (in particolare, il cambio lamenta reiterate rotture), telaio ed aerodinamica non all’altezza: sono queste, in prima battuta, i fattori che hanno condizionato in negativo la stagione della McLaren MCL33, l’auto — nelle intenzioni, naufragate — del riscatto.

Tre vetture diverse, prestazioni, risultati e riscontri assai diversi, medesimo motore. Red Bull RB14, Renault R.S.18 e McLaren MCL33 testimoniano quanto sia difficile progettare una monoposto di Formula 1 vincente e competitiva attorno ad una medesima motorizzazione. Stesso motore (in cui il gruppo turbocompressore è posto dietro al motore ed il MGU-H all’interno del V ma decentrato verso il retro del motore stesso) ma differenti impostazioni aerodinamiche, telaistiche, di “packaging”, di raffreddamento. Una sfida solleticante che mette in risalto le doti di ciascun staff tecnico. Una concorrenza positivamente spietata tra una Casa — la Renault — e due “assemblatori”, Red Bull e McLaren. Ne esce, ancora una volta, vincitrice la Red Bull di Newey e compagni, abili nel proporre una vettura caratteristica e personale in quanto a soluzioni ed in grado di eguagliare, sebbene dotata di una “power unit” meno performante, Mercedes F1 W09 e Ferrari SF71H. Un costruttore che, da dieci anni, ha saputo scrivere e riscrivere la storia tecnica della Formula 1 attraverso idee riprese dal passato, estremizzazioni, geniali intuizioni e guizzi tecnici e vetture che hanno fatto della bontà telaistica ed aerodinamica il proprio punto di forza.

Medesimo nocciolo — la “power unit” Renault — ma tre interpretazioni diverse nate attorno a tale, comune, condiviso denominatore. In poche parole, il succo, l’essenza della Formula 1.

Scritto da: Paolo Pellegrini

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