Situazione rovente in quel di Silverstone, prima e durante l’ultimo Gran Premio di Gran Bretagna. Rovente come le temperature dell’atmosfera e della pista, mai così alte negli ultimi anni e tali – manco a dirlo – da condizionare l’ancora misterioso andamento delle mescole Pirelli. Rovente, come l’entusiasmo degli oltre 340.000 appassionati giunti in uno degli storici Templi dell’automobilismo, là dove quel che ancor oggi chiamiamo Campionato del Mondo di Formula Uno ha avuto inizio nel lontano 1950. Rovente, come il dopo-gara fatto di dichiarazioni salaci e insinuazioni pepate, ben più saporito e croccante di un piatto di fish and chips. Rovente, come la gara piena di colpi di scena – e colpi proibiti… – andata in onda nella placida campagna inglese, con scontri, sorpassi, duelli, strategie al limite, ripartenze, penalità , guasti, partenze fulmicotoniche e arrivi al cardiopalma: il British Grand Prix è stato una summa di quel che un Gran Premio di Formula Uno dovrebbe essere, una gara delle gare che è stata al contempo delizia per gli appassionati e croce per le loro coronarie, uno di quegli spettacoli favolosi che i Capoccioni vorrebbero ottenere con assurdità tipo sprint race, inversioni di griglie di partenza, gomme di burro o sorpassi eterodiretti.
In tutto ciò un solo neo: che questo Gran Premio emozionante, degno erede moderno della old school way of racing, se lo siano goduto quei sapientoni di Inglesi, i quali per anni ci hanno scartavetrato la pazienza con il loro Keep calm and qualcheccosa e si sono ritrovati in casa una gara che con la calma e la tranquillità ha avuto ben poco a che fare!
Per cui, come direbbero nella Perfida Albione, keep calm and ripercorriamo il Gran Premio svoltosi in quel di Silverstone, dove sono andati in scena scambi di cortesie fra top drivers e top team, ma mentre la Mercedes scherza la Ferrari fa sul serio e consolida il primato in entrambe le classifiche mondiali.
Alla fine non posso che simpatizzare per gli Inglesi, i quali, con genuino entusiasmo, confidavano che l’onda lunga dei successi della loro Nazionale impegnata nei Campionati del Mondo di Calcio in Russia si estendesse anche alla tappa casalinga del Campionato di Formula Uno. E come non confidarvi, dopo la spettacolare qualifica disputata al sabato e la pole position agguantata con la tipica zampata del campione dall’idolo di casa Lewis Hamilton! Da allora, nel paddock di Silverstone e nel più grosso paddock virtuale dei social network, è stato tutto un proliferare di #itscominghome, vale a dire la profezia neanche troppo velata che la Coppa del mondo di calcio stia per tornare a casa, nella mani della nazione che il calcio l’ha inventato, cioè la Gran Bretagna. E che il Gran Premio che si sarebbe corso alla domenica, da ben cinque edizioni di fila appannaggio del baldo Inglese esteta della sobrietà e delle Frecce d’Argento inglesi per metà , finisse allo stesso modo, cioè a casa. Beh, effettivamente è andata proprio così: la vittoria è tornata a casa, in Italia, come fu nel lontano 1950, quando in terra inglese a trionfare furono le italianissime Alfa Romeo, nel Paese dove, mi perdonino Inglesi e Tedeschi, l’automobilismo sportivo è di casa da sempre.
Angolo della cultura – prego immaginare musica di Quark in sottofondo. Come tutte le lingue locali, evolutesi dal tardo-latino parlato, influenzato dal contesto storico – nella fattispecie dalle dominazioni franco-spagnole – e dalla particolare attitudine culturale delle popolazioni, difficilmente permeabili dalle influenze esterne, l’abruzzese conserva delle espressioni tipiche di immediata efficacia, che in italiano debbono essere rese con una scomoda perifrasi quando non sono intraducibili. È sempre molto difficile per un abruzzese spiegare a un non abruzzese il senso di queste espressioni, come per esempio “andare in cascetta�. Ebbene, chiunque abbia assistito al dopo-gara di Silverstone può dire, pur non essendo abruzzese, di averne capito e compreso il significato: dandosi alle sceneggiate mistiche, invocando presunte intenzionalità nell’incidente di gara con Raikkonen, insinuando non troppo velatamente una scorrettezza indecente da parte della Ferrari e rifiutandosi di fare mea culpa – per una partenza inguardabile e per una gestione della gara non impeccabile – Hamilton e la Mercedes sono andati in cascetta. Perciò, immaginando che nell’idilliaca campagna inglese irrompa il delizioso aroma della porchetta calda d’Abruzzo, mi sento di invitare gli amici Inglesi, capitanati dal Lupo Toto e dalla Volpe Niki, di starsi calmi e metterci la crosta, non tanto sulla porchetta – anche perché sarebbe irrispettoso verso Hamilton – ma soprattutto sui piagnistei post gara.
Gara delle gare, summa di ciò che un Gp di Formula Uno dovrebbe rappresentare… Non commettete, amici, l’errore di considerare questi concetti applicati solo ai primi della classe, ma guardate anche nelle retrovie e pronunciate un nome solo: Romain Grosjean. Dalla partenza ciccata con speronamento al compagno di squadra Magnussen all’arrivo con aggancio e carambola in parata nella via di fuga, coinvolgendo in un iconico pas de deux l’incolpevole Sainz, anche questa volta la primadonna Grosjean ha fatto del suo meglio per strappare la ribalta a quei secchioni della prima fila e per trasformare Günter Steiner ancora una volta in Günter Stonero. L’elenco degli appellativi da eroe fantasy, dunque, potrebbe ben presto aggiornarsi e allungarsi, quindi, per citare un Kimi Raikkonen Cunctator, wait and see, amici!
Fin dall’ideazione della futuristica sede di Woking, la McLaren ha sempre portato in alto il vessillo dell’innovazione tecnologica e della distinzione nel promuovere questa e altre mission – tipo riproporre il più vincente binomio motoristico con Honda per dominare il Campionat… ah, no, scusate. Non deve stupire, quindi, che la McLaren sia stata anche la prima scuderia di Formula Uno a sperimentare una nuova idea di management, roba che al confronto la lean production di Toyota è un esercizio da tesina di liceo e la teoria delle organizzazioni aziendali viventi di Maturana e Varela un divertissement per un tè fra sciure. Di che si tratta? Ma del Freddo-gate, amici e Capiscioners! No, la McLaren non ha sperimentato un rivoluzionario sistema per incrementare le performances delle risorse umane e per rallentare l’intensità del moto rotatorio di certe innominabili parti anatomiche di Alonso basato sulla crioterapia – quella a cui dicano si sottoponga Cristiano Ronaldo per essere il migliore e poter sollevare la Coppa del M… ah, no, scusate ancora. È qualcosa di meglio, in modo assurdo: “Freddo�, infatti, è la marca di uno snack al cioccolato, distribuito come benefit ai dipendenti di Woking e c’è qualche maligno che insinua che la ragione profonda delle dimissioni di Eric Boullier sia da ricercare anche nella quantità di barrette corrisposta.
Io mi fermo qui, perché il mio confine fra sarcasmo e mestizia è stato abbondantemente superato. Se guardiamo in quale baratro sia precipitata anche Williams, non possiamo far altro che rattristarci per cosa siano diventate due delle più grandi scuderie della storia.
Giusto per mettere qualche virgola, dal momento che i punti li mettono quelli che ne sanno davvero e non i propugnatori dello #ZiaElleWayOfLife: è ormai chiaro che nella Formula Uno del 2018 vince il pilota migliore sulla macchina migliore ma, se ancora non è ben certo quale sia la migliore fra la Ferrari F71H e la Mercedes W09, a Silverstone non ci sono stati dubbi su chi sia stato il pilota migliore. Sebastian Vettel ha eseguito una partenza perfetta, ha gestito meglio tutte le fasi della gara, si è esibito in manovre di classe e decisive, per cui viene da chiedersi se tutto il malessere manifestato da Lewis Hamilton derivi dall’aver dovuto constatare – e ammettere – che a casa sua il migliore non è stato lui.
Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/CircusFormula1/~3/z7qzaxjRVhI/smontate-lhalo-voglio-scendere-a-silverstone.php
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