Lewis Hamilton e la sua maniacale visione delle corse finalizzata all’obiettivo


La regolarità nei risultati e l’abilità di limitare i danni nelle giornate storte hanno sempre fatto la differenza nell’economia dei campionati di Formula 1. Per natura uno sport imprevedibile e dove l’esito finale è certamente influenzato da molteplici variabili che possono sfuggire al controllo diretto del pilota, è proprio quest’ultimo a essere chiamato alla massima concretezza nella buona e nella cattiva sorte. Lo sa bene Lewis Hamilton, memore del beffardo esito della stagione 2016, quando nonostante il maggior numero di pole position e vittorie, perse il mondiale per soli tre punti a causa dei problemi di affidabilità ma anche della scarsa propensione a convertire in risultati la velocità messa in mostra.

Da questa grande delusione sportiva il pilota anglo-caraibico ha forse tratto nuove motivazioni, maturando una visione delle corse più completa e orientata all’obiettivo.

Sebbene in queste prime otto gare sia stata la Ferrari di Vettel a essere indicata a più riprese come il pacchetto di riferimento, i 14 punti di vantaggio in classifica a favore di Hamilton sono figli della una maggiore regolarità e specialmente del minor numero di errori nei climax della stagione. A supporto di questa tesi, vedasi l’inciampo del pilota tedesco in quel di Baku alla ripartenza e lo svarione commesso alla prima curva in Francia. Per contro, l’alfiere della Mercedes ha sfruttato la velocità assoluta laddove ha potuto e ha salvato il risultato nelle gare in cui la performance non era pervenuta.

Infatti, solo in due occasioni Hamilton è andato a peggiorare la posizione in griglia al traguardo: in Australia, dove dopo la partenza al palo arrivò secondo, e in Canada, scattato quarto e arrivato quinto, senza ombra di dubbio il punto più basso del suo ruolino di marcia sin qui. Per Sebastian, sono invece quattro le occasioni in cui non ha ribadito in gara quanto raccolto in qualifica: Cina, Azerbaijan, Spagna e Francia. Il bottino dei punti persi da Vettel è tra l’altro più consistente, in virtù delle cinque qualifiche in cui è riuscito a primeggiare sul rivale. Ciò contrasta con i risultati in gara, con sei podi di Hamilton contro i quattro di Vettel, statistica che testimonia una preziosa continuità dimostrata in pista dal campione del mondo in carica. Anche quando il pilota in Rosso ha prevalso, Lewis ha saputo contenere la perdita di punti, realizzando in tre occasioni un podio. Situazione opposta nel caso contrario: Vettel non è mai salito sul podio quando Hamilton ha trionfato, ovvero in Azerbaijan, in Spagna e in Francia.

A completare lo scenario, non possiamo non segnalare che la W09 di Hamilton non è stata sin qui esente dal patire complicazioni legate all’affidabilità. In primis, la perdita idraulica nelle battute conclusive del Gran Premio di Australia, che ha costretto il pilota anglo-caraibico a scontare cinque posizioni di penalità in griglia nella gara successiva. Non ultimo i supposti problemi di surriscaldamento della power-unit Mercedes (Canada ad esempio) e il feeling cronicamente scarso con le mescole più morbide.

In un campionato equilibrato che stenta ad andare nell’una o nell’altra direzione, portare a casa il massimo risultato possibile e non incorrere in errori evitabili sono elementi che potranno assumere un peso specifico rilevante per la rincorsa all’iride. Escludendo fattori esterni non controllabili dal piede e dalla testa dei diretti protagonisti, il giusto mix tra la natura del pilota leone e quella del driver ragioniere sembra essere la chiave di volta per il successo in questo tiratissimo 2018.

Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/CircusFormula1/~3/VZ_cm1eYziw/lewis-hamilton-e-la-sua-maniacale-visione-delle-corse-finalizzata-allobiettivo.php

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