La storia della Toyota (e di Le Mans) passa da Fernando Alonso

Fernando Alonso è, senza dubbio, uno dei piloti più controversi della storia della Formula 1 contemporanea. Amato e detestato, osannato e criticato. Poco importa, carta canta: Alonso è e rimane uno dei più veloci e capaci piloti degli Anni 2000. A testimoniarlo, due titoli iridati (2005-2006, rispettivamente al volante delle Renault R25 e R26), altri sfiorati, 32 vittorie, 22 pole-position, 97 podi complessivi e quasi 300 GP all’attivo a partire da quel GP d’Australia 2001.

Nel 2017, Alonso, in balia di una McLaren MCL32-Honda non competitiva, sperimenta cosa significhi correre in uno speedway statunitense. E lo fa nel modo più eclatante possibile, partecipando alla 500 Miglia di Indianapolis. La rottura del motore Honda della sua Dallara gestita dal team Andretti, tuttavia, non macchia la prestazione maiuscola sfoderata dal rookie spagnolo, capace persino di comandare la corsa per un totale di 27 giri.

In questo 2018, la nuova sfida di Alonso si chiama Endurance. Turni di guida lunghi e spesso massacranti, doppiati, auto di diverse classi – dai Prototipi alle più lente Gran Turismo –, vetture assai differenti rispetto ad una monoposto di F1, nuove dinamiche di gara, il buio della notte, il cambio pilota, il dover condividere la medesima auto con altri piloti. Competizioni, al livello tecnico e sportivo, che richiedono – oltre alla velocità – doti ed esigenze desuete o persino assenti in Formula 1.

La 24 Ore di Daytona – 56th Rolex 24 at Daytonaprima prova del WeatherTech SportsCar Championship – ha aperto la stagione 2018 delle grandi corse Endurance internazionali. Fernando Alonso prende parte alla “classica” della Florida (disputata tra il 27 ed il 28 gennaio 2018) grazie ancora all’iniziativa di Zak Brown, Chief Executive Officer di McLaren Racing e proprietario del team United Autosports, compagine impegnata, appunto, in Endurance nella classe LMP2. Il due volte campione del Mondo di F1 ben si destreggia al volante della Ligier JSP217-Gibson, auto condivisa con Philip Hanson e Lando Norris, due giovani promesse dell’automobilismo internazionale. Alonso riesce a segnare il 13° tempo in qualifica (1:37.008, a poco più di 9 decimi dalla pole-position di Renger van der Zande al volante della Dallara-Cadillac DPi del Wayne Taylor Racing – 1:36.083). La gara del terzetto dello United Autosports si rivela travagliata: si classificheranno al 38° posto (718 giri ultimati, a 90 giri dall’equipaggio vincitore, Filipe Albuquerque/João Barbosa/Christian Fittipaldi su Dallara-Cadillac DPi del Mustang Sampling Racing-Action Express Racing).

Ma è la 24 Ore di Le Mans a catalizzare l’attenzione non solo dei fan più incalliti dell’Endurance ma anche di Fernando Alonso, debuttante d’eccellenza sul circuito della Sarthe. La sua avventura in seno al Toyota Gazoo Racing – emanazione ufficiale della Casa nipponica, nuovamente impegnata stabilmente nel World Endurance Championship dal 2012 – si è aperta ufficialmente nel weekend del 3-5 maggio scorso, in occasione della 6 Ore di Spa-Francorchamps, prima prova della controversa World Endurance Championship “Superseason” 2018-2019. La vettura è la Toyota TS050 Hybrid di classe LMP1, il cui motore endotermico è costituito da un V6 di 90° Turbo di 2400cc.

Grazie ad un ordine di scuderia inteso a congelare le posizioni, stoppando la rimonta della Toyota TS050 inseguitrice (in quel momento condotta da Mike Conway), Sébastien Buemi/Kazuki Nakajima/Fernando Alonso si aggiudicano la 6 Ore di Spa-Francorchamps. 163 giri coperti in 6:00:50.702 di gara e 1141,32 km percorsi alla media oraria di 189,8 km/h. Alonso fa segnare il secondo miglior giro in assoluto del weekend belga: 1:55.143 alla media di 219 km/h, tempo fatto registrare in qualifica e secondo solo al 1:54.781 (media di 219,7 km/h) stampato da Nakajima nelle medesime qualifiche. In gara, invece, Alonso ha palesato qualche “difficoltà” di adattamento in più, benché la sua prova rimanga alquanto convincente e solida. Il suo giro più veloce in gara, infatti, non è all’altezza di quelli dei suoi compagni di squadra, più esperti, vetarani e conoscitori della vettura giapponese in condizioni da gara. 1:58.507 (media di 212.8 km/h), alle spalle di Conway (il più veloce con 1:57.442, media di 214.7  km/h), Buemi, Kobayashi, Nakajima e davanti al solo Jose Maria Lopez, “l’anello debole” dello squadrone Toyota. In questo senso, infatti, Alonso ha subito per ben due volte la rimonta di Conway.

In queste ore, Le Mans inizia a prendere definitivamente vita. Una vigilia intrisa di polemiche (la infinita e mai soluta diatriba tra i bistrattati costruttori indipendenti e team privati provvisti di LMP1 non ibride e, ora, la sola Toyota, unico ufficiale dotato di vettura ibrida) che, tuttavia, non minerà l’attesa e le impronosticabili aspettative attorno alla storica competizione francese.

Domenica 3 giugno, si svolgerà la cosiddetta “Journée Test”, sessione preliminare suddivisa in due turni: dalle ore 09:00 alle ore 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00. Test preludio alla settimana che condurrà alle prove libere e alle qualifiche ufficiali in programma tra mercoledì e giovedì (13-14 giugno) e alla gara (16-17 giugno).

Alonso, in qualità di esordiente sul circuito della Sarthe, dovrà inizialmente prendere confidenza con un tracciato unico al mondo. Lungo 13,626 km, il circuito della 24 Ore presenta tratti permanenti e cittadini, curve e rettilinei particolarmente veloci alternati a curve lente. Incidenti e condizioni meteo sovente “ballerine” ed estreme caratterizzano, tutti gli anni, la corsa francese. Sono queste, ma non solo, le dinamiche e le difficoltà che anche un pilota navigato quale è Alonso deve affrontare con umiltà e concetrazione massima.

Scontato affermarlo: la Toyota, mai vincente a Le Mans, cercherà di conquistare quel trionfio che le sfugge – in maniera spesso rocambolesca – dal 1987, anno in cui – dopo l’esperienza Dome e Tom’s – appariva il primo Prototipo di Gruppo C1 compiutamente ed interamente marchiato Toyota, nel telaio e nel motore: la Toyota 87C (Dome). Una vittoria, quella che pregusta la Casa giapponese, sulla carta propiziata dalla assenza di concorrenti quali Porsche e Audi (le Case che si sono battute e sfidate negli ultimi anni) e da un regolamento tecnico favorevole alla propria vettura, ai danni, invece, dei costruttori e team indipendenti (Oreca, BR-Dallara, ENSO CLM, Ginetta).

Una vittoria quasi scontata sulla carta ma, nei fatti, in bilico per tanti fattori: affidabilità ed imprevisti su tutti. Ed è fuor di dubbio che una vittoria di Alonso rappresenterebbe, per Toyota e per Le Mans, una formidabile pubblicità, un ritorno di immagine e di popolarità senza precedenti.

Vittoria o no, Alonso è un esempio da seguire. Dopo la Indy 500, finalmente un pilota di Formula 1 torna a calcare nello stesso anno due fronti contemporaneamente, il Mondiale di F1 e il Mondiale Endurance. Un impegno indubbiamente impegnativo ma altamente stimolante, indice di una ammirevole ancorché inedita e mai espressa (sino al 2017) poliedricità dello spagnolo. Attualmente, anche altri piloti di F1 si cimentano saltuariamente in gare Endurance; Lance Stroll, pilota Williams, ha partecipato anch’egli alla 24 Ore di Daytona 2018, al volante della Oreca o7-Gibson LMP2 del Jackie Chan DCR Jota (vettura condivisa con Robin Frijns,  Daniel Juncadella e  Felix Rosenqvist).

Come nel 2017, Alonso cerca di rimpinguare la propria bacheca di trofei altrove, fuori da una Formula 1 che, specie dal 2014 sino ad oggi (ultimo anno di Ferrari e successivamente McLaren), gli sta riservando stagioni prive di qualsiasi soddisfazione. Da una McLaren MCL33-Renault ancora deficitaria ad una Toyota TS050 LMP1, punto di riferimento della classe e candidata alla vittoria.

Alonso saprà cogliere questa gustosa, unica opportunità?

Scritto da: Paolo Pellegrini

Fonte: http://feedproxy.google.com/~r/CircusFormula1/~3/9F35V4h8UZA/la-storia-della-toyota-e-di-le-mans-passa-da-fernando-alonso.php

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