GM taglia impianti e lavoratori contro Trump che reagisce: “Tolgo tutti gli aiuti”

Fosse successo in Italia, si sarebbero scatenati, giustamente, i moti rivoluzionari che nemmeno le 5 giornate di Milano. Sta succedendo in America, storicamente attenta ai conti e, per il momento, ci limitiamo, si fa per dire, a qualche protesta del Sindacato. Mentre a reagire in maniera veemente è il Presidente Trump, contro il quale sembra indirizzata buona parte del senso “politico” di questa decisione alquanto impopolare.

Sì, General Motors si riorganizza e lo fa in grande (si fa per dire) stile. Il colosso di Detroit annuncia lo stop alla produzione in sette impianti, di cui cinque in Nord America, e un taglio del 15% – 14.700 posti, avete capito bene – della forza lavoro fra Stati Uniti e Canada con l’iniziale benedizione di Wall Street che prima della sfuriata di Trump, rigorosamente via tweet, aveva messo le ali ai titoli di Gm, salita al +7% per poi precipitare al -3%.

Il sindacato dei metalmeccanici, il potente UAW, con cui il povero Marchionne riuscì a chiudere il suo accordo-miracolo per l’acquisto di Chrysler e la fusione con Fiat, al momento ha “solo” dichiarato guerra alla casa automobilistica di Detroit che incurante degli interessi… nazionali apre impianti e rafforza la produzione in Messico e in Cina e ha intenzione di abbandonare quelli americani e canadesi. Qualcosa di più di una semplice “provocazione”, appunto, per Trump che infatti si sente quasi tradito. “Il Paese ha fatto molto per Gm, l’hanno salvata gli americani. Non sono contento – dice il presidente – . Dovrebbero smetterla di produrre auto in Cina e invece continuare a produrle negli Usa. Al contrario annunciano chiusure in casa e non fuori”. 

Per Trump, l’industria, in particolare quella automobilistica, era stata la chiave del suo successo elettorale, promettendo non solo la difesa di posti di lavoro ma di crearne altre migliaia, per non dire milioni. E, forse non a caso, le possibili chiusure degli stabilimenti negli Stati Uniti annunciate da GM invece interessano proprio quegli stati del Midwest che hanno aiutato Trump a conquistare la Casa Bianca nel 2016. Gm ”farà meglio ad aprire un nuovo impianto in Ohio per sostituire quello che stanno chiudendo – ha tuonato Trump – Mi piace l’Ohio. Ho detto a Gm che stanno giocando con la persona sbagliata”. Per poi arrivare ad una minaccia esplicita: “vi togliamo tutti gli aiuti, inclusi quelli per le auto elettriche, sono molto deluso. Le scommesse di Gm nei due paesi non pagheranno. Io sono qui per proteggere i lavoratori americani”.    

Per la cronaca, non è la prima volta che Trump si scaglia contro Gm su Twitter e sempre sullo stesso tema: la produzione fuori dagli Stati Uniti. All’inizio dello scorso anno l’aveva bacchettata per importare negli Usa auto prodotte in Messico: ”produca qui o paghi pesanti tasse doganali” aveva detto il tycoon, gelando il costruttore di Detroit. E anche i tweet dell’ultima ora sono una doccia fredda per l’intero comparto: secondo gli osservatori, infatti, la strada di Gm sarà seguita da altre case automobilistiche, tutte alle prese con il rallentamento dell’economia e il timore di una recessione, un’industria che cambia velocemente e la guerra commerciale, con i dazi sull’acciaio e l’alluminio che hanno fatto salire notevolmente i costi. Gli analisti sono convinti che nonostante le minacce di Trump, GM non cambierà rotta: per le case automobilistiche ha senso produrre il più vicino possibile ai consumatori e il mercato cinese, almeno per il momento, è quello a crescita maggiore. In sostanza, Trump, per conservare la produzione americana, dovrebbe fare in modo che quel prodotto possa poi arrivare dall’altra parte del mondo con prezzi competitivi, cioè senza dazi…

In realtà, la ristrutturazione di GMnon piace neanche al Congresso e ai democratici che hanno approvato, sotto l’amministrazione Obama, il salvataggio di Detroit stanziando miliardi di dollari dei contribuenti e che vedono – anche loro – i tagli annunciati come un tradimento agli americani. Tanto più se si considera che uno degli stabilimenti che dovrebbere essere coinvolto nella chiusura è quello dove si produce anche la Chevrolet Volt, l’elettrica di GM, insieme alla Bolt. Cioè quel settore sull’altare del quale la stessa GM spiega il sacrificio annunciato. 

Già, GM che fa? Intanto si difende spiegando che si tratta di misure necessarie per posizionare al meglio la società alle prese con il rallentamento delle vendite negli Stati Uniti e la guerra commerciale avviata dalla Casa Bianca, che ha avuto come effetto quello di far salire i prezzi delle materie prime come acciaio e alluminio. Secondo quanto dice l’a.d. Mary Barra – che negli anni scorsi si è opposta più volte all’intesa con Marchionne e FCA – “GM si vuole adattare a un’industria che cambia rapidamente alla stregua delle condizioni di mercato. Assumiamo queste decisioni ora mentre l’economia e’ ancora forte e mentre la società è forte”. Negli Usa le possibili chiusure entro il 2019 riguardano due impianti in Michigan, uno in Ohio e uno in Maryland. In Canada la fabbrica interessata è in Ontario. ”Ho espresso alla Barra la mia profonda delusione per la chiusura” twitta il premier canadese Justin Trudeau. Ma fossimo in GM le parole di cui preoccuparsi davvero sono quelle di Trump, che ha scaricato su Detroit la palla per le prossime mosse. 

Se con l’operazione tagli GM prevede un risparmio di qualcosa come 6 miliardi di dollari, come pare, viene spontanea un’altra riflessione. Ricordando infatti che solo un anno mezzo fa, GM ha ceduto Opel a PSA per un’operazione complessiva da quasi 3 miliardi di dollari, viene da chiedersi come e in cosa GM intende utilizzare questa ingente somma di denaro. Una parte sicuramente andrà in maggiori investimenti per la realizzazione di auto elettriche e autonome. Ma siamo davvero sicuri che sia solo questo l’obiettivo della Barra?

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