Avrebbe avuto comunque molte chance di vittoria, figuriamoci dopo che le Alpi avevano decimato gran parte dei velocisti. Peter Sagan fa tris al Tour de France: era il favorito per l’arrivo di Valence ed ha rispettato fedelmente il copione. Una volata con pochi treni, fatta eccezione per due uomini rimasti a disposizione di Démare. Il francese è il primo a rompere gli indugi sul rettilineo finale, viene passato da Kristoff. Sagan per sua stessa ammissione si muove con un attimo di ritardo, ma rimedia con un colpo di reni in extremis.
Per fortuna che c’è il campione del mondo, personaggio necessario in uno di quei giorni in cui il numero delle parole è pari o addirittura superiore a quello delle pedalate. L’oggetto della discussione è ovviamente il caso Nibali. Difficile trovare una considerazione con un tocco di originalità in più rispetto a quanto detto e sentito in tutte le salse, spazio quindi alle parole del direttore del Tour Christian Prudhomme, che punta l’indice contro una abitudine nuova quando fastidiosa per il tifo ciclistico, i fumogeni: “Non appartengono alle gare in bici, fanno respirare aria cattiva ai ciclisti e li accecano. Semplicemente non hanno senso”.
Sperando che la situazione migliori, la ripartenza senza lo Squalo è malinconica. Il livello spettacolare della tappa non è che alzi granché il morale, anche se dopo le fatiche del trittico alpino pretendere di più sarebbe un crimine contro l’umanità. A parte un paio di Gpm di modesta entità e vari saliscendi, la frazione è per i velocisti. Lo dimostra il precedente arrivo a Valence, quando vinse Andre Greipel. Stavolta però il Gorilla non c’è: fa parte del drappello di velocisti non sopravvissuti alle Alpi. Insieme a lui Groenewegen, Gaviria, Kittel, Cavendish. Tanti ritiri, è un Tour durissimo. Erano 18 anni che dopo 13 tappe non rimanevano così pochi corridori: 152 su 176 partenti, nel 2000 erano rimasti in 151 su 180.
Il lotto dei velocisti resta però di valore. Oltre a Sagan, in lizza Démare, Kristoff, Degenkolb, Richeze, quest’ultimo ormai libero da compiti di supporto a Gaviria, Colbrelli che sogna la dedica a Nibali. Tradotto significa che non c’è spazio per chi scappa: Bora-Hansgrohe (Sagan) e Groupama-FDJ (Démare) tengono sotto controllo i quattro attaccanti.
Sono Scully, Schär, Claeys ed un abitudinario di imprese problematiche, alcune delle quali andate a segno (viene in mente una cavalcata sullo Stelvio al Giro) come Thomas De Gendt. A proposito di attaccanti, il Tour dopo al km 28 può festeggiare un fuggitivo per antonomasia, Sylvain Chavanel, che taglia il traguardo dei 60.000 sulle strade della Grande Boucle. Non è record, per arrivare a quello il buon Sylvain dovrà farsi un’altra edizione, così da scalzare a quota 62.855 km l’olandese Joop Zoetemelk.
Schär è l’ultimo a ribellarsi ad un destino annunciato, cede quando mancano 6 km. Poi strategie di volata. Démare è l’unico che ha un minitreno. Probabilmente lo frega Gilbert, che tenta il colpo del finisseur costringendo i compagni ad un lavoro supplementare. Guarneri, l’ultimo luogotenente, lo lascia troppo presto davanti, Kristoff e soprattutto Sagan non aspettavano altro.
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