Molteni, operazione nostalgia: la squadra di Merckx torna per aiutare i ciclisti in difficoltà

LONDRA – A volte ritornano. Suscitando, in questo caso specifico, brividi di acuta nostalgia. Molteni, basta la parola, per chi ama o ha amato il ciclismo: una grandissima squadra, la maglia del più forte campione di tutti i tempi, Eddy Merckx, ma anche di nomi entrati nella storia tricolore delle due ruote, come Gianni Motta.
 
E poi tutta un’epoca, quella delle corse anni Sessanta e Settanta, le sfide fra i due rivali nostrani Motta e Gimondi a riproporre quelle tra Coppi e Bartali del passato, il processo alla tappa di Sergio Zavoli, l’Italia in bianco e nero che scopre il boom economico, gli appuntamenti fissi del Giro, del Tour, della Milano-Sanremo, della Parigi-Roubaix sul pavé maledetto, seguiti da milioni di persone con una popolarità seconda solo al calcio, fino alle gare di biglie sulla spiaggia in cui i ragazzini baby-boomers snocciolavano come in una filastrocca: Merckx, Gimondi, Motta, Anquetil, Dancelli, Basso, Zilioli, Adorni, Zandegù.
 
E’ come un mondo scomparso quando la Molteni, sponsor di salami (contro le cucine della squadra rivale Salvarani di Gimondi) si ritirò dalle competizioni nel 1976, dopo avere vinto ben 663 gare. Ma adesso la squadra fondata nel 1958 da Pietro e Renato Molteni, al tempo in cui non rappresentava soltanto uno sponsor ma era parte viva del progetto, allenata da Renato e più tardi da Ambrogio, ex­-corridore professionista e figlio di Pietro, ritorna in pista.
 
Torna la Molteni, rivive il mito della squadra di MerckxLetteralmente: con l’occasione della Sei Giorni di Londra, appuntamento dagli echi classici, sul magnifico circuito del Lee Valley VeloPark, il velodromo costruito apposta per le Olimpiadi del 2012 nel quartiere di Stratford, un tempo disagiato e ora un quartiere dinamico e trendy grazie allo sport, uno dei tanti impianti dei Giochi che continuano a funzionare e ad essere utilizzati a pieno ritmo, come lo stadio e la piscina.
 
Non è tuttavia un ritorno all’agonismo, sebbene ieri, nella prima serata della “Six Days” londinese, due coppie di corridori con maglia Molteni abbiano gareggiato nell’arena del VeloPark. E che corridori: Roger Kluge e Theo Reinhardt, attuaali campioni del mondo della specialità su pista (il primo ha anche una medaglia d’argento olimpica); e i britannici Adam Blythe e Jon Dibben, il secondo dei quali è un ex-campione mondiale ed europeo. Ma la Molteni non rinasce come squadra corse, anche perché il marchio, come azienda di salumi, non esiste più dal 1986, anche se la famiglia continua ad operare con altri brand nel medesimo settore alimentare.
 
Rinasce invece come Fondazione Ambrogio Molteni, con lo scopo di aiutare gli ex-ciclisti in difficoltà: un progetto di solidarietà a favore degli eroi sfortunati della bicicletta. L’operazione non ha alcuna finalità commerciale, né prelude a nuove sponsorizzazioni da parte della famiglia Molteni nel mondo sportivo. “Mio padre e mio nonno mi portavano con sé in qualche tappa quando ero bambino”, dice a “Repubblica” Mario Molteni, figlio di Ambrogio e nipote di Pietro, venuto a Londra a presentare l’iniziativa, il cui lancio ufficiale avverrà all’inizio del 2019. “La passione per la bicicletta e per tutto ciò che rappresenta me l’hanno passata così”. E ora, a sessant’anni dall’inizio della storia Molteni nel ciclismo e a poco più di quaranta dalla fine, “abbiamo voluto onorare la memoria dei miei familiari, che purtroppo non ci sono più”.
 
Obiettivo della Fondazione Molteni sarà portare un aiuto concreto a ex-professionisti del ciclismo mondiale caduti in difficoltà perché caduti in indigenza o rimasti vittime di infortuni invalidanti o per altre diverse vicissitudini. La Fondazione assisterà anche casi di giovani talenti il cui cammino verso il successo nel ciclismo professionistico è stato compromesso da gravi incidenti. Ci saranno in tal senso attività di fund-raising e di beneficenza per poter dare almeno a qualche ex-corridore il sollievo morale ed economico di cui ha bisogno.
 
“Nello sport non è raro incontrare storie molto amare di giovani caduti in disgrazia a causa di disavventure, scelte sbagliate o altre circostanze”, osserva Mario Molteni, accompagnato nella capitale britannica dalla sorella Pierangela. “Il ciclismo non fa eccezione in tal senso, talvolta anche per le conseguenze di gravi episodi traumatici in corsa o in allenamento. Il nome della nostra famiglia ha significato molto nel ciclismo e noi vogliamo appunto ricordare nostro padre, che era un uomo buono e generoso, impegnandoci nell’attivare un circuito virtuoso per i protagonisti meno fortunati di questa disciplina”.
 
Rimanendo fedeli alla grafica e ai colori di allora, alla Sei Giorni la coppia britannica ha indossato proprio la gloriosa maglia della formazione Molteni, con l’inconfondibile color camoscio che Ambrogio Molteni scelse ispirandosi ai camion che trasportavano i prodotti alimentari della sua azienda. Era un mondo più semplice e genuino rispetto a quello del marketing moderno. Mentre Mario Molteni parla, e i corridori sfilano sulla pista del velodromo, su un piccolo schermo scorrono immagini d’epoca con il “Cannibale”, com’era soprannominato Merckx, che pedala, firma autografi, posa sorridente sulla sua bicicletta. La Molteni è tornata, non alla stessa maniera degli anni Sessanta, ma con un messaggio di solidarietà tanto più raro e importante nello sport di oggi in cui contano sempre di più i soldi.


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml

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