È tornato il ciclismo di…una volta. Quello delle imprese eroiche, vedi Froome a Bardonecchia, con più di 80 chilometri di fuga su e giù per le montagne, e quello delle grandi crisi, scomparse da tempo. La “cotta”, con corridori che faticano anche all’idea di pedalare, che sembrano pietrificati nel loro sforzo, dalle facce smunte e dalle gambe vuote. Simon Yates in due giorni è passato dalla maglia rosa a più di un’ora e un quarto da Froome, Pinot è crollato alla penultima tappa, lasciando il podio a Lopez, e lasciando soprattutto quarantacinque minuti sul terreno, accompagnato e spinto dai compagni di squadra, di fianco ai velocisti del cosiddetto “gruppetto”, perfetti nel controllare i distacchi per non finire fuori tempo massimo e non mandare il fisico fuori giri. Pinot vomita al traguardo, stravolto, distrutto nel fisico e nel morale. La crisi è di nuovo protagonista, batte il ciclismo tecnologico, pieno di watt, computerini, auricolari e molto altro. E batte forse il vero grande nemico, il doping!
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