Non ci sono Kittel e Sagan, nemmeno Greipel e Cavendish o Groenewegen…d’accordo, ma i due successi di Viviani non possono essere considerati successi scontati, per manifesta inferiorità degli avversari. Nella prima, a Tel Aviv, ha dovuto battere la tensione, il fatto di essere considerato favorito, favorito unico, la voglia di dimostrare, dopo due anni senza Giro, che lui è un vincente, che le lacrime della Gand-Wevelgem (secondo dietro a Sagan) sono addirittura servite per diventare più forte. La pressione è un avversario che ti corre a fianco, che non vedi, che non ti fa cadere, che non sgomita in volata ma che ti svuota. Solo i campioni la sanno gestire, e questa è la vera vittoria di Elia a Tel Aviv. Nella seconda tappa vinta, a Eilat, Viviani ha invece costruito il successo sulle sue sicurezze, sul fatto di essersi liberato dalla pressione di dover vincere ad ogni costo e, soprattutto, sulla capacità di gestire una grande squadra, la Quick Step, da leader, e sull’abitudine, che arriva dalle classiche, di essere un velocista che va ben oltre i 200 km, soglia che piega le gambe ai buoni corridori ma non ai campioni veri. Viviani c’è al Giro e ci sarà sempre di più, non solo al Giro.
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