INNSBRUCK – Lacrime di gioia che racchiudono il valore di una maglia iridata inseguita da una vita. Alejandro Valverde ci aveva provato per la prima volta nel 2003 ad Hamilton, in Canada, dove aveva conquistato la medaglia d’argento dietro ad Igor Astarloa. Poi altri quattro podi: un argento e tre bronzi. A Innsbruck, in uno dei mondiali più duri di sempre, l’Imbatido fa centro a 38 anni: per ritrovare un campione del mondo così maturo bisogna risalire al 1985, quando vinse l’olandese Joop Zoetemelk. “Finalmente ce l’ho fatta. Il mio pubblico mi acclama, non ci posso credere: è qualcosa di incredibile. La squadra è stata perfetta. Sono arrivato allo sprint convinto: sono partito da lontano ed è andata bene. E’ la più bella vittoria della mia carriera”. E detto da uno che ha vinto cinque volte la Freccia Vallone e quattro la Liegi…Il punto massimo di una carriera sfavillante fatto di alti, ma anche di qualche neo: da ricordare una lunga squalifica per doping subita 8 anni or sono.
Valverde vince dopo una gara ad eliminazione, piena di tutto e il contrario di tutto: uno di quei giorni in cui il confine tra brillantezza e crisi è esilissimo. Uno sprint a 4 nel quale lo spagnolo precede Romain Bardet (il più tosto dello squadrone francese), il canadese Woods e l’olandesone Tom Dumoulin. Non si gioca per poco la volata Gianni Moscon, quinto e migliore degli azzurri. Lo frega il muro di Gramartboden: 2,8 km con punte del 28%. Lì il trentino, pur stringendo i denti, perde quei metri che successivamente non riuscirà più a recuperare. Resta un po’ di amaro in bocca per gli azzurri: la ‘squadra’, come viene chiamata dai tempi di Alfredo Martini, fa la squadra, forse anche troppo. Nel momento topico manca la punta. Moscon ha oggettivamente fatto il massimo, e vista l’età – 24 anni – rappresenta il nostro futuro.
Valverde tra Bardet e Woods
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