Chris Froome, storia di una corona ovale e di un’azione d’altri tempi

Foto Facebook Giro d’Italia pagina ufficiale

Epico ed antitetico, monumentale ed anacronistico.

Non è facile trovare le parole per descrivere l’impresa di Chris Froome, il keniano bianco nato da genitori britannici e cresciuto in Sudafrica che quest’oggi ha di fatto ribaltato il Giro d’Italia 2018 con un’azione d’altri tempi. Un attacco ad 80 (ottanta) chilometri dall’arrivo, tutto solo, sulle pendenza arcigne ma costanti del Colle delle Finestre. Nessuno pronto, né in grado, a seguirlo nel folle piano costruito per ribaltare la classifica generale, mentre più dietro la Maglia Rosa si faceva pesante sulle spalle di uno svuotato Simon Yates, crollato dopo aver corso da protagonista le prime due settimane di Giro. All’arrivo sullo Jafferau il conto sarà salatissimo, 38’51” dal vincitore ma soprattutto la faccia di chi non aveva più nulla da dire, da dare: è la dura legge del Giro d’Italia e la storia ce lo insegna.

Il vincitore dicevamo, Chris Froome. Davanti a tutti a Bardonecchia e davanti a tutti dopo 19 tappe, come aveva pianificato alla vigilia ma come forse nemmeno lui credeva sarebbe accaduto:“Non penso di aver mai attaccato a 80 km dal traguardo nella mia carriera, ho corso da solo e sono arrivato fino alla fine. Per passare dal quarto al primo posto non potevo aspettare l’ultima salita ed il Colle delle Finestre era il posto perfetto per attaccare. Le strade sterrate mi ricordano l’Africa”, ha ammesso lo stesso Froome subito dopo l’arrivo, ancora incredulo per l’impresa appena compiuta. La giornata perfetta verrebbe da dire, evidentemente studiata a tavolino con la propria squadra che, altrettanto perfetta, ha avuto un ruolo attivo quanto determinante nella riuscita del tutto, con i membri del Team Sky sparsi tra le migliaia e migliaia di indiani appostati sullo sterrato del Finestre per rifornire il proprio capitano in un momento cruciale della corsa, sebbene ancora sembrasse impossibile quello che poi si è rivelato essere realtà.

Dici Froome e pensi alla sua sgraziata e ragnesca posizione in sella che di colpo diventa armonica per sfidare le leggi dell’aerodinamica. Dici Froome e pensi alla corona ovale, al body con le sferette sulle maniche, alla testa sempre china sul manubrio per controllare watt e cadenza di pedalata. E poi, da oggi, dici Froome ed inaspettatamente pensi a quest’attacco da lontano illogico (aveva ancora la carta Poels da giocarsi), assurdo (mancavano ancora 80 km all’arrivo), imprudente (era tutto solo), pazzesco (mai visto all’attacco come oggi), leggendario (ma l’ha fatto davvero?): insomma, irrazionale (vedi i motivi già espressi) nella sua razionalità (si sentiva bene e lo aveva studiato alla perfezione).
Quello di Bardonecchia è così diventato un Chris Froome nuovo, diverso, umano perché vittima di crisi ma fenomenale nella sua capacità di reagire di fronte alle difficoltà, di mantenere la calma nei momenti di crisi e di mettersi in gioco anche quando gli era stato proposto di ritirarsi.

All’arrivo il ghigno di dolore si confonde con il sorriso per il capolavoro compiuto, mentre gli occhi si fanno lucidi quando gli portano la Maglia Rosa da indossare, perché sa che quella è la ricompensa meritata dopo tutti gli sforzi fatti, la conferma che in fondo vale ancora la pena soffrire per qualcosa che si ama, se questa poi è la fonte della felicità.
Continua a sorridere sul palco delle premiazioni ma sa che ancora “it’s not over”, non è finita qui. Ci sono ancora 4000 metri di dislivello da scalare prima di arrivare nella Città Eterna, prima di lasciarsi andare ad una “pizza e birra ghiacciata” con vista sul Colosseo. Sorride ma è consapevole che la battaglia è vinta ma la guerra no, per quella manca ancora un giorno e Dumoulin è lì a 40″, pronto a combattere per bissare il successo dello scorso anno.

Sulla sua testa pende ancora l’esito di una sentenza che potrebbe rovinargli la carriera, eppure dopo questa vittoria tutto sembra essere lontano, almeno per un momento. Con buona pace delle male lingue, godiamoci quest’impresa che tra decenni verrà rivista come oggi si riguardano le tappe in bianco e nero o quelle dai colori sbiaditi, tappe che danno un motivo in più ai tifosi per non smettere di sognare, che rendono ancora il ciclismo uno sport per sognatori.

E adesso riposiamoci in attesa di domani, perché tutto può ancora succedere.

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