Protagonista del mercato estivo degli allenatori, con l’idea iniziale di una panchina di EuroLeague per chiudere bene la carriera che l’ha visto protagonista in Italia e nel mondo, Sergio Scariolo ha ascoltato diverse proposte – alcune di squadre italiane – per poi finire quasi inaspettatamente ad essere invitato e poi ufficializzato come assistant coach dei Toronto Raptors. Il tecnico della Spagna ha rilasciato una lunga intervista a Walter Fuochi su Repubblica.
I ricordi dell’arrivo alla Fortitudo, con penalizzazione, 25 anni fa. Di sicuro il giorno della sentenza. Ero in Sardegna, arrivò il -6. Una botta tremenda. Ma durò un attimo. Stavamo facendo una bella squadra, avevo buone sensazioni e, se non avevo dubbi che ci saremmo salvati partendo da zero, presto fui fiducioso pure col -6. La trasformammo in un’opportunità. Una sfida a fare l’impresa.
A Toronto per il sogno di essere il primo italiano capo-allenatore NBA? Vado perchè si sono incastrate tante situazioni giuste, e perché quella corsa oggi non è una priorità assillante. Entro in un club di livello, che può vincere 60 partite in stagione e lì sposerò due desideri: di nuovo, finalmente, un impegno quotidiano in palestra, e poi vivere da dentro il mondo NBA. Non avevo l’angoscia di arrivarci a tutti i costi, erano passati altri treni, ma con proposte francamente meno esaltanti. Questo è quello giusto.
Le chiacchiere estive con la Virtus. La voglia di palestra non è mai andata via, ma non ne potevo più di questa intermittenza forzata cui ti costringe il lavoro con le nazionali. Coi nuovi dirigenti della Virtus ci sono state alcune conversazioni cordiali. E franche. Entrambi avevamo diverse priorità. Loro, un allenatore fulltime. Io, questa carta nella NBA. Franchezza apprezzata, magari ricapita, anche se a Pino auguro dieci anni di regno.
Dopo la mancata esperienza del 2003 è destino che questo matrimonio non s’ha da fare? Sarà che alla fine ho un angelo custode fortitudino che mi ferma al momento giusto.
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