Mario Boni, già capocannoniere italiano della Serie A 1993-’94 a 30.4 punti di media, ha giocato una gara monstre con due giocatori a più di 35 punti segnati, prima dell’exploit al PalaDesio della coppia Mitchell (3 6)-Ledo (41), Lo ricorda Vincenzo Di Schiavi sulla Gazzetta dello Sport: nel 2003, in Teramo-Virtus Roma, Mario ne fece 39, Carlton Myers 42 e vinse. Occasione per parlarne con il diretto interessato che, a 55 anni, gioca ancora a Porcari di Lucca in promozione con il figlio.
Cantù-Reggio Emilia. Sì, una sbirciata l’ho data. Run and gun: a un certo punto sembra una partita di una lega di sviluppo. Divertente e coinvolgente, certo, ma figlia di una pallacanestro molto basica, mentre una volta al talento si abbinava anche la tattica. Mitchell e Ledo son stati un bel vedere, ma i vecchi tempi sono ancora lontani per tutta una serie di motivi.
Il talento italiano è un problema, oggi? Il discorso sarebbe molto lungo. Prima differenza: ai miei tempi i bomber e i grandi giocatori erano soprattutto italiani: Riva, Myers, Esposito, Pozzecco. Ora fanno una fatica tremenda a trovare spazio. Ne vedo tanti in A-2 che potrebbero stare in Serie A, ma neanche ci arrivano. Al di là di qualche sparuta eccezione, e voglio citare il grande avvio di stagione di Giampaolo Ricci, gli italiani non sono più protagonisti. Seconda differenza: adesso il giocatore di talento pare un problema. È troppo incatenato dalla tattica e da una visione scolastica della pallacanestro. Se esce dagli schemi desta sospetto e questo è un atteggiamento che purtroppo emerge già a livello giovanile.
Mario e Carlton. Io e Carlton ci siamo sfidati tante volte e giocare contro di lui è sempre stato molto divertente. Quella partita la ricordo molto bene, una giornata meravigliosa: facevo canestro da tutte le parti, bastava alzassi il braccio. Il problema è che Myers fece la stessa cosa. Di certo giocatori come lui e molti altri della mia generazione non ne vedo più.
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