I dati del Ministero e dei carabinieri In Lombardia il 25% degli atleti usa betabloccanti
È INQUIETANTE il dato che emerge dai più recenti controlli della Commissione di vigilanza istituita al Ministero della Salute e che lavora grazie alla strettissima collaborazione fra Coni e carabinieri dei Nas: in Italia il doping è sempre più dilagante fra gli adolescenti, e secondo realistiche proiezioni addirittura tre dilettanti su quattro fanno uso e abuso di medicinali per migliorare le prestazioni. Si va dai noti anabolizzanti che accelerano lo sviluppo muscolare agli steroidi, fino a sostanze che riescono a coprire l’assunzione di farmaci illegali (quelli che servono soprattutto per far perdere peso). I super-integratori per vincere una medaglia di latta, un premio di 10 euro o un gadget: giovanissimi, amatori, pensionati non ci pensano due volte in certi casi. Pagine e pagine di dossier, tabelle e statistiche anche sulla Lombardia: emerge che la nostra regione è fra quelle dove gli atleti fanno gran uso di betablocccanti (25,6%), con ben 162 prescrizioni di farmaci diuretici o agenti mascheranti.
VERO, DA UNA PARTE ci sono le sentenze (in tempi generalmente rapidi) dei tribunali sportivi, dall’altra le più articolate inchieste della giustizia ordinaria. Non potrebbero mai andare di pari passo quando si parla di doping associato a discipline sportive, soprattutto se diletantistiche, perché per quel che riguarda le seconde i magistati possono contare su mezzi investigativi importanti (anche di prevenzione, come le intercettazioni telefoniche) a differenza delle procure federali. E vanno ben oltre la gara in cui si ritiene che le prestazioni siano state alterate dall’uso di farmaci. Insomma, dietro i dopati della domenica c’è un mondo nascosto, fatto di farmacie artigianali, pusher locali (spesso ex professionisti falliti), traffici illeciti, dirigenti senza scrupoli, genitori ambiziosi. Che agiscono non solo per soldi, come fa un professionista, ma per “curare” l’ansia da prestazione A conferma di tutto ciò basta dare un’occhiata alle decine e decine di fascicoli (circa 500 nel 2017) e sentenze della Procura Antidoping del Coni che ogni settimana riempiono i comunicati delle singole federazioni: dall’atletica al ciclismo, dal nuoto ai pesi, dalla ginnastica al triathlon, dal rugby alla pallamano, dal tiro con l’arco al body-building.
Un atleta ogni 20 ore viene “beccato”, 9 su 10 sono amatori o giovanissimi. Non si salva nessuno. Gli studi e i controlli più recenti confermano sin troppe “positività” nei test compiuti dopo competizioni dilettantistiche. Gli under 19 e i 46enni sono gli atleti che si dopano di più. E poi si scoprono laboratori del doping “grezzo” prodotto in farmacia su richieste mediche irripetibili, dove avvengono preparazioni galeniche a base di agenti anabolizzanti, che i farmacisti possono legittimamente smerciare in presenza di una prescrizione comunicando poi numeri al ministero. Il giro d’affari si aggira sui 450 milioni l’anno. E dunque, mentre la Nado (agenzia nazionale per il doping) segue soprattutto il mondo dei professionisti, per capire invece la portata del fenomeno doping a livelli più “umani” (gli atleti della domenica, appunto), bisogna rifarsi alle statistiche dell’Istituto superiore di Sanità, di fatto il vero servizio pubblico anti-doping. Nel 2017 sono stati 1.211 i controlli su competizioni amatoriali o giovanili: ancora troppo pochi (ciascun esame costa fra i 500 e i 1000 euro) ma con esiti preoccupanti: pomate, fiale e beveroni sono troppi.
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