Lega A – Milano, Fontecchio: “Voglio spazio ma è giusto che me lo conquisti sul campo”

Non fosse stato 15 centimetri più basso – ma visto nelle immagini di trent’anni fa passare gli ostacoli con eleganza nella classica posizione “impossibile” con una gamba distesa e l’altra a formare un angolo di 90 gradi non si direbbe – Daniele Fontecchio sarebbe stato la fotocopia autentica del figlio Simone. Daniele Fontecchio vinse un argento europeo indoor a Madrid nei 60 hs, corse i 110 hs in 13”66 diventando sei volte Campione d’Italia assoluto. Nel 1984, a 23 anni, fu semifinalista ai Giochi Olimpici di Los Angeles. Era alto, slanciato, scuro di carnagione e i suoi piedi rimbalzavano sul tartan. Simone Fontecchio sarebbe stato lui stesso un eccellente ostacolista o magari un triplista. Se la mamma Amalia non gli avesse trasmesso una passione smisurata per il basket. E poi c’era un problema. “Andare allo stadio, correre… era noioso”, ammette. Per questo ha scelto come il fratello maggiore Luca di darsi al basket. Con risultati evidenti: Simone non ha ancora 23 anni eppure è un veterano, due volte Miglior Under 22 del campionato di Serie A, membro più o meno stabile della Nazionale e adesso a Milano dove è già stato vincendo una Supercoppa e una Coppa Italia. E tuttavia Fontecchio aveva lasciato l’Olimpia come il giocatore della squadra migliore nello stacco da terra e potrebbe esserlo anche ora. Mike James permettendo: “Non so – sorride -, non abbiamo ancora svolto i test fisici. Di sicuro a correre il più veloce è lui”.

Amalia Pomilio, per tutti è Malì Pomilio, due scudetti e due coppe dei campioni vinte a Vicenza, una superpotenza di livello europeo negli anni ’80, un Europeo giocato con la Nazionale femminile e poi a dispetto della laurea in lingue tanto sport nella sua storia. E’ stata anche team manager della Nazionale femminile. Ma il nonno di Simone, padre di Malì, è stato anche lui un giocatore di basket, ha vestito la maglia azzurra e giocato a Roma. Il cugino di Malì è Amedeo Pomilio, oro olimpico nella pallanuoto a Barcellona 1992. Insomma, il sangue sportivo, i geni giusti scorrono nelle vene di Simone Fontecchio.

Aveva solo 14 anni quando lasciò Pescara per Bologna, esattamente lo stesso percorso compiuto prima di lui dal fratello Luca, quattro anni più anziano che gioca in A2. Alla Virtus, Fontecchio ha bruciato le tappe, è diventato una delle travi portanti delle nazionali giovanili e ha debuttato presto in Serie A. Con la Granarolo nella stagione 2014/15 segnò due volte da tre il canestro della vittoria della sua squadra. Prima a Pistoia: scarico di Abdul Gaddy e lungo missile da posizione laterale. Stessa storia ad Avellino: una palla controllata con difficoltà poi raccolta e indirizzata con precisione verso il canestro. Quell’anno Fontecchio vinse il premio di miglior giovane del campionato. Ma l’anno seguente la Virtus retrocesse in A2 e come prevedono i regolamenti risultò svincolato. L’Olimpia lo portò così a Milano. “Quando i campioni d’Italia ti cercano con insistenza non resti indifferente”, disse.

L’Olimpia gli ha dato la possibilità di vincere i primi trofei, di debuttare in EuroLeague: alcune partite sono state anche molto buone ad esempio contro il Galatasaray in casa. Quando avrebbe potuto maturare altra esperienza si ruppe la mano. Successe a Tel Aviv. Di fatto fu la fine della sua stagione. Lo scorso anno, stritolato nella morsa della concorrenza, chiese di fare un passo indietro e giocare un’ampia fetta di stagione a Cremona, raggiungendo i playoff. “Mi sono trovato bene a Cremona – dice Fontecchio – mi sono divertito, ho giocato tanto e abbiamo anche raggiunto buoni risultati, come la semifinale di Coppa Italia, i playoff. Sono contento di quell’esperienza”. Ironicamente la grande impresa della stagione della Vanoli poteva maturare a Milano: una schiacciata direttamente su rimessa di Mindaugas Kuzminskas ha risolto la gara. “E’ stata una partita che probabilmente avremmo dovuto vincerla prima di quella schiacciata allo scadere e giocammo bene”, dice.

Abbastanza bene da convincere l’Olimpia a riportarlo alla base, con un ruolo che almeno in campionato promette di essere adeguato al suo talento. “Le regole nuove aiutano, ma poi spetta a noi meritarci lo spazio in campo e guadagnarci minuti. Con uno straniero in meno ci saranno probabilmente più minuti ma dobbiamo essere noi a conquistarceli. Per quanto mi riguarda vorrei migliorare a livello individuale: ho tanto da migliorare sotto l’aspetto tecnico ma è più importante quello mentale. E poi spero di poter dare un contributo alla squadra e fare in modo che gradualmente sia sempre maggiore. Per ora direi che siamo un bel gruppo, si è creata una bella chimica con i ragazzi che erano qui l’anno scorso e stanno aiutando a integrare i nuovi, compreso io che ero stato qui solo metà anno. Si lavora bene, è importante”, ammette.

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