Portland è la più grande città dell’Oregon ma non è certo una metropoli (“Ci sono tante cose da fare anche se non è Los Angeles”, dice Mike James). E’ situata nel nord ovest degli Stati Uniti, a un’ora di volo da Seattle, clima fresco, piovoso, con un fiume, il Willamette che la taglia in due, e le montagne tutte attorno, piene di verde. Qui è nato e cresciuto, Mike James, una sorta di autodidatta del basket. Eternamente sottovalutato. Come dicono in America gioca con un “chip on my shoulder”, espressione quasi intraducibile. Significa che gioca in sostanza come se ogni volta dovesse dimostrare qualcosa a qualcuno.
“Sì, può essere – ammette – ma questo è un mondo in cui conta quello che hai fatto di recente, una stagione buona è solo una stagione buona perché puoi sempre tornare indietro e dover ricominciare daccapo. Così cerco di giocare ogni partita con questa mentalità”.
Il nuovo playmaker dell’Olimpia ha frequentato la Ulysses Grant High School di Portland, un posto da 1500 studenti e una buonissima tradizione sportiva. Tra i suoi studenti giocatori di football e baseball e l’ex playmaker NBA, Terrell Brandon. Nel 2008 James la portò al titolo dello stato dell’Oregon ma non venne reclutato lo stesso.
“Non fu una sorpresa, sono venuto fuori tardi come giocatore e anche fisicamente”, ammette. Dovette andare in un junior college dell’Arizona per continuare a giocare e poi a Lamar, in Texas, anzi sul Golfo del Messico. Segnò anche 52 punti in una partita, portò la sua squadra al Torneo NCAA eppure… “Eppure diventare un professionista era lontanissimo dai miei pensieri. Ero felice di giocare al college e di poter studiare senza pagare. Del resto non mi curavo. Fu il mio allenatore nell’ultima parte della stagione da senior a menzionare per la prima volta cosa sarebbe potuto accadere”, racconta. L’allenatore era Pat Knight, figlio del grande Bobby Knight (oro olimpico a Los Angeles 1984, tre titoli NCAA a Indiana), nonché mentore di Mario Fioretti. James non fu scelto nei draft NBA, non ci andò nemmeno vicino, ma Knight aveva ragione. Sarebbe stato un professionista, prima in Croazia poi in Israele e quindi a Omegna.
“L’Italia mi è piaciuta subito, la cultura, il cibo soprattutto. Omegna è stata un’esperienza divertente. Un motivo in più per tornare in Italia”.
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