La triste italianizzazione della NBA, ultimo baluardo dello sport moderno

Nella notte italiana si è consumato l’ennesimo delitto dello sport, e in particolare della pallacanestro. E’ crollato anche l’ultimo baluardo della competitività diffusa, quella cosa che rendeva unica la NBA nel panorama cestistico mondiale. Ovvero la possibilità di poter costruire da zero una squadra che potesse vincere il titolo da perfetto outsider. Perché se il titolo in Grecia è un affare tra Olympiacos e Panathinaikos, in Spagna tra Real Madrid e Barcelona, in Turchia un affare privato del Fenerbahçe come in Italia dell’Olimpia Milano, il sistema americano garantiva fino ad oggi una diffusa competitività.

Adesso, con un DeMarcus Cousins, ovvero il miglior pivot disponibile in questa free agency 2018, che se ne va a Golden State per appena 5,3 milioni di dollari (qui), ecco che la Lega nordamericana scende al livello di quelle europee. I Warriors saranno la sesta squadra nella storia della NBA a presentare un quintetto base (anche se Cousins rientrerà dall’infortunio al tendine d’Achille soltanto a gennaio) composto di All Stars della stagione precedente. Le altre cinque volte era stato ai tempi dei Celtics tritattutto: nel 1975/76 Boston, che aveva già Dave Cowens, Jo Jo White, John Havlicek e Paul Silas, prese dai Suns Charlie Scott. Ma era tutto un altro basketball, e infatti lo sviluppo vero del business è arrivato in seguito quando le rivalità divennero diffuse.

Per di più nell’assenteismo della guida materiale e spirituale della NBA Adam Silver, che già aveva accettato supinamente il presupposto dato dall’arrivo nella Bay Area di Kevin Durant, e adesso accetta il passaggio successivo.

Così ha buon gioco a scherzare sull’assassinio della pallacanestro Enes Kanter, perché stanno succedendo cose che David Stern non avrebbe mai permesso. A seguire infatti uno spiritoso tweet del gigante turco dei New York Knicks che condensa il momento attuale.

Fonte: http://feeds.pianetabasket.com/rss/

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