Basket, venti anni fa il tiro impossibile di Danilovic: e la Virtus beffò la Fortitudo

BOLOGNA – Vent’anni fa, il 31 maggio del 1998, un tiro a canestro tanto preciso quanto folle, fuori da ogni logica, assegnò lo scudetto del basket. Lo vinse la Virtus, lo perse la Fortitudo, tutto accadde a Bologna, Basket City allora molto più d’adesso, con due squadre ai vertici europei. Ne sono rimaste indelebili foto in bianco e nero, se ne parla ancora oggi davanti a birre infinite. Fu un unicum il gesto, destinato a stamparsi nelle memorie, e fu inimitabile tutta la finale, tesa, equilibrata, sofferta.
 
Quel “tiro da 4″ lo infilò Sasha Danilovic, campione serbo, all’epoca 28enne. Non esiste, nel basket, un tiro da 4 punti, ma tanti ce ne volevano per ribaltare esiti che parevano già scritti. Sotto di 4 punti, per far pareggiare alla Virtus quella quinta partita di finale, portarla al supplementare e vincerla lì, Danilovic godette pure di una involontaria complicità, quando s’alzò dai 7 metri, sull’arco, a 16 secondi dalla fine. Lo sfiorò e commise fallo Dominique Wilkins, l’asso in maglia Fortitudo. La palla entrò, fu assegnato il tiro libero aggiuntivo (dall’arbitro Zancanella, che i tifosi fortitudini includono ancora, vent’anni dopo, fra i complici della sventurata impresa). Danilovic lo realizzò. 72 pari. Ci fu altro, in quei 16” (una palla persa di Rivers, play della Effe, un tiro sbagliato di Abbio, azzurro della Vu), ma non ci furono canestri. Al supplementare, stroncata dalla delusione per lo scudetto buttato via (sarebbe stato il primo della sua storia, arrivò poi nel 2000), la Fortitudo neppure si presentò. Dilagò la Virtus: 86-77.
 
Tanto è passato, da quella giocata impossibile, che resta forse il picco di emotività più alto nella storia del basket italiano. E anche un picco di valori qualitativi, perché in quella stagione, dopo un parallelo “riarmo” poderoso, Virtus e Fortitudo possedevano due tra le squadre più forti d’Europa. Alfredo Cazzola, patron della Virtus, aveva richiamato dalla Nazionale Ettore Messina, dalla Nba Sasha Danilovic e aggiunto assi come Sconochini e Savic, Abbio e Frosini, Rigaudeau e Nesterovic a completare l’armata con cui Messina sarebbe “andato nella giungla”. Giorgio Seragnoli, magnate della Fortitudo, aveva affidato a Valerio Bianchini (poi rilevato da Petar Skansi), Dominique Wilkins, uomo da ventimila punti nella Nba, e David Rivers, poi Myers e Fucka, Galanda e Chiacig, Attruia e Moretti. Le duellanti s’erano già incrociate in Coppa Campioni: in un derby fratricida, con contorno di risse e polemiche, la Virtus aveva eliminato la Fortitudo ed era volata a Barcellona a vincere la sua prima Eurolega.
 
La finale scudetto le ritrovò nemiche, dentro la stessa casa, il palasport di Casalecchio, arena di entrambe. Già giocati in stagione cinque derby, seguirono i cinque della finale scudetto. Mozzafiato. I primi quattro vinti tutti dalla squadra ospite. Solo al quinto, in quel modo incredibile, la Virtus “tenne” il fattore campo. E vinse il titolo. Partì forte la Teamsystem, ossia la Effe, sbancando il campo bianconero: 81-80, due liberi di Rivers all’ultimo secondo. La Kinder, ossia la Vu, si rifece subito: 78-76, prima dominando, poi tremando sulla rimonta di Rivers (8/8 da tre). Si tornò a casa Virtus: vinse, l’unica larga, la Fortitudo: 76-69. Che tornò a casa con il primo matchball: avanti di 13 a 10′ dalla fine, si perse (e la perse): 57-59. 2-2, tutti alla bella, domenica 31 maggio. Meglio la Effe, di nuovo, a lungo. Quasi in porto sul +11 a 8′ dalla fine, soprattutto sul +4 a 24″ (un libero su due di Fucka). Il tiro da 4 ribaltò tutto.
 
Se ne parla ancora, oggi quasi come allora. La polemica sempre accesa, tra le due rive del tifo cittadino, l’aneddotica mai più scolorita. Quelli che dovevano piombare giù dal sottotetto, con filo d’acciaio e carrucola a consegnare a Myers e soci uno scudetto di polistirolo, al suono delle campane di Monghidoro, pure issate lassù. Quelli che uscirono prima, andarono a casa delusi e lo seppero dal tigì d’avere vinto. Quelli che in motorino partirono a razzo per i caroselli, ma in Piazza Maggiore ci trovarono la festa degli altri. Pochi giorni fa, un giornalista fortitudo ha scritto un instant book chiedendo in un mese a 103 correligionari (103 è il numero di dell’affiliazione della Effe) cosa ricordassero di quel dolore. Solo a Basket City…


Fonte: http://www.repubblica.it/rss/sport/rss2.0.xml

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