DANZICA – Rimandata a febbraio, l’Italibasket ora deve interrogarsi su quel che in Polonia non ha funzionato, cioè tutto. Fin dalla prima palla, dal primo canestro, s’è intuita la differenza di concretezza e fluidità delle due squadre. Padroni di casa sciolti e rapidi, con Slaughter e Lampe a bastonare gli azzurri in pick and roll, l’Italia aggrappata nei primi istanti a tre prodezze consecutive di Tonut, per il resto poi scomparso dai radar. Man mano che il punteggio s’ingrossava, la Ergo Arena ha preso a dare una mano consistente ai biancorossi, con un’intensità assai tipica del pubblico polacco, in certi istanti anche oltre le righe, specialmente quando al tiro andavano gli azzurri di colore Biligha e Abass. Il fatto che non ci sia stata partita è equilibrato dall’aver perso di 16, meglio di quanto la Polonia avesse fatto a Bologna (-19). Nella corsa a tre che comprende anche l’Ungheria l’Italia è avanti, ma al check in per Pechino ci aspettano il 22 febbraio i magiari, ringalluzziti dalla vittoria sull’Olanda. Vincere o perdere di poco. L’alternativa è andare a sbancare in Lituania all’ultima tornata, e nessuno vuol prenderla in considerazione.
Dopo aver bucato i Mondiali del 2010 e del 2014, un nuovo flop allungherebbe per l’Italia la striscia negativa aperta oltre un decennio fa. Nel dopo Atene 2004, c’è stato il deserto dalle parti dei nostri canestri, mai più né Olimpiadi, né Mondiali, e persino, nel 2009, s’era saltata un’edizione degli Europei (a 16 squadre) e la stessa sorte sarebbe toccata anche nel 2011, se la Fiba non avesse allargato in extremis il perimetro a 24. Arrivò allora un 17° posto e una sconfitta contro Israele, uno dei punti più bassi della storia azzurra, quando Pianigiani in piena crisi di nervi chiese ai suoi di “fare almeno a cazzotti”. Da quella buca l’Italia si è tirata fuori a stento, dignitosa a livello europeo (un 8° e due quinti posti), mai più competitiva ai massimi livelli, arrivata vicina solo a sfiorare l’Olimpiade di Rio, persa a Torino contro la Croazia nel più accomodante degli spareggi.
Ora si tornerebbe in un Mondiale che è diventato davvero globale, con 32 squadre, 8 in più dell’ultima volta, ma tra il possibile merito di Sacchetti e il metodo federale dei più italiani a referto (su questo aspetto, i risultati si vedranno più avanti, se mai si vedranno), va sottolineato che in Cina per buona parte ci andranno squadre capaci di fare a meno delle loro stelle, né Slovenia, né Bosnia, né Croazia ad esempio ci sono riuscite, e di giocarsi la qualificazione con giocatori di medio valore e con minutaggi soffocati nei loro campionati, come gli azzurri.
Ci vanno in sostanza i campionati capaci di offrire ai ct una buona classe media, un roster profondo, una quantità di ottimi lavoratori che l’Eurolega, figuriamoci l’Nba, non l’hanno mai nemmeno sognate, ma il Mondiale o un’Olimpiade sì. Nel vuoto che è seguito all’argento di Atene s’infila questo azzurro stropicciato e sudato, di questo ct ben voluto e preparato anche al peggio, che tante ne ha viste e che altro non dice, ogni volta, se non “questi ho e questi alleno”, riferendosi a quello che non ha avuto quasi mai, Gallinari e gli altri, e che pure non gli è mai mancato. Ma ora il passo che manca va compiuto, non si può non essere, da quattordicesimi del ranking mondiale, almeno una delle 32 sul volo di fine agosto verso l’Oriente.
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