Otto triple nel canestro della Polonia al PalaDozza, e senza apparire un mangiapalloni, né una star capricciosa che ha una squadra al suo servizio. E’ la meccanica di tiro scelta da Amedeo Della Valle, il suo agire d’istinto quasi alla Stephen Curry anticipando il pensiero del difensore, l’argomento che stuzzica Andrea Barocci a chiedergliene ragione nell’intervista al Corriere dello Sport.
Mentalità e allenamento. «Alla base c’è tanto allenamento, ma anche molta mentalità. Bisogna arrivare al tiro nel modo giusto; ci sono incontri durante i quali puoi segnare parecchi punti, poi però al tiro decisivo non arrivi con la giusta concentrazione, e sbagli. Ogni tiro è totalmente differente dagli altri: non succede mai allo stesso modo, con gli stessi passi. Deve essere lo stesso movimento, ma adattato alla situazione in cui ci si trova. La parte meccanica comunque è importante, è una base; io l’ho imparata a 14,15 anni. Bisogna tirare, tirare, senza aver paura di fallire. Quando penso ad un tiro non lo faccio come se fosse un’ossessione. Sono tranquillo, bisogna possedere la giusta calma per fare canestro».
Difesa. «Come la vivo? Non sarò mai un difensore di prima fascia, però voglio cercare di limare qualcosa di questo mio difetto, magari con un posizionamento migliore, il problema è che ci sono aspetti anche fisici che sicuramente non mi aiutano: io ad esempio non sono bravo a fare dei movimenti laterali, per la mia struttura. Con il sacrifico, o provando a capire dove vuole andare l’attaccante, spero di riuscire a colmare questo handicap».
Essere figlio d’arte. «E’ importante avere una famiglia come la mia. Mio padre mi ha aiutato moltissimo, soprattutto per come è impostato mentalmente lui, sempre alla ricerca del miglioramento e di qualcosa di nuovo, pure nel suo lavoro. Mi ha insegnato come fare un passo avanti, nella vita e nel basket. Il consiglio più importante che mi ha dato è semplice: divertirmi sempre, qualsiasi cosa faccia, e giocare perché mi diverto. La vita è una sola, e bisogna esse
Coach Sacchetti. «Meo dà a tutti noi una iniezione di fiducia. Ci fa sentire importanti. Io so di fare più fatica in difesa, e lui cerca di aiutarmi nascondendo le mie lacune (con quintetti che possono appunto supportare meglio Amedeo; ndi). Tanta parte del suo gioco si basa su un sistema di movimento nel quale ognuno di noi è coinvolto».
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