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    Germania nella storia del basket: primo trionfo Mondiale, Serbia ko

    MANILA (Filippine) – Trionfo storico per la Germania che conquista la sua prima Coppa del Mondo battendo in finale la Serbia per 83-77. I tedeschi salgono sul tetto del mondo per la prima volta nella loro storia e dopo aver eliminato in semifinale gli Stati Uniti. Un successo memorabile per gli uomini di Herbert che stendono la nazionale serba di Pesic nonostante un tentativo di rimonta nel finale guidato da un super Avramovic. LEGGI TUTTO

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    Pozzecco esclusivo: l’Italia ambiziosa, i Mondiali, i giovani e Banchero

    Pozzecco, com’è cambiata la sia vita da papà?

    «Sono estremamente felice, Un mio amico mi prendeva in giro quando dicevo  un anno che i miei azzurri erano come figli perché non ero ancora papà. Lo so che sono emozioni diverse, io prendo Gala dalla culla, la porto con me a letto e me la metto sul petto, la sento respirare, non potrei farlo con Melli o Polonara. Con un figlio hai la necessità che stia bene, quando piange vorresti piangere tu, così come quando ha la febbre o male al pancino. Ma intendevo dire che a me interessa soprattutto che i miei giocatori stiano bene e possano esprimere in campo il loro talento e fuori la loro personalità».

    Essere stato un grande giocatore la ispira, dunque. Diverso dai coach non giocatori?«La prima impressione che si ha di un coach ex giocatore è sbagliata. Si pensa sia favorito dal sapere cosa farà un atleta. Invece è penalizzante perché uno potrebbe aspettarsi l’identico modo di reagire dal punto di vista emotivo e tecnico alle situazioni e non succede. Generalizzando può aiutare l’empatia. Ma anche in questo ci sono casi diversi. Io uso l’empatia per aiutarli, è il mio unico obiettivo. Se un giocatore sbaglia so che è il più dispiaciuto, certo, in casi di menefreghismo mi arrabbio e correggo, ma tra i giocatori di oggi i menefreghisti non esistono. Soffrono per i loro errori».

    Lei però è uno che vive di emozioni e le mostra. Come fa invece con i giocatori?«Vivo le partite in modo animato, acceso, è vero. Ma nella quotidianità, pur incazzandomi quando è necessario, sono sereno e voglio trasmettere questo. Come coach sono cambiato dopo Varese. Arrivato a Sassari ho capito che i giocatori vedevano il peggio di me in partita, che perdevo il controllo, ma in settimana ero diverso. Allora ho cercato di mediar e mi sono spiegato. E quello mi ha aiutato. Io posso allenare solo così. Per me allenare è coerenza, anche se il compianto Maurizio Costanzo diceva che ogni tanto la coerenza è stupidità. Alla fine sa qual è la chiave? Io mi fido di loro, perciò mi spendo per loro. E questo crea consapevolezza, in me e in loro. Poi arriva il momento delle decisioni e soffro se devo escludere qualcuno, anche perché a volte un giocatore non capisce. A me è successo, ai tempi. Ora dico una cosa che penso e non ho mai detto. Io non sono peggio di come appaio, perché non sono preoccupato di come appaio. Però vivo in un mondo in cui tutti cercano di mostrarsi meglio di quanto siano, preoccupati. Dunque sembrano meglio di me. Ma i giocatori capiscono, prima o poi».

    Ha parlato delle decisioni, quest’anno lei potrebbe avere problemi di abbondanza.«Io ne porterei 35, ma poi forse il 36° si arrabbierebbe comunque. Farò scelte tecniche, ma dando opportunità a tutti. Abbiamo giovani emergenti, i reduci dall’Europeo che hanno meritato. Ma sono orgoglioso di loro e degli altrui progressi. Io vedo che almeno 16-18 giocatori potrebbero entrare nei 12. Ma forse l’unico aspetto negativo di un lavoro meraviglioso».

    Lei è stato ed è tuttora personaggio. Il Basket ha bisogno di giocatori che siano personaggi e riferimenti. Come fare?«Credo sia una questione generale, anche nel calcio per esempio. Forse è il talento più diffuso, la possibilità di allenarsi in modo più sofistico. Ma anche io credo sia necessario, soprattutto che nelle squadre ci siano giocatori di riferimento per gli appassionati, che si creino rivalità. In modo che il pubblico e i bambini, i ragazzini, si possano identificare. Occorre che le società in tal senso cambino e si aprano, aiutino i ragazzi a esprimersi. Io vivo un momento di grande entusiasmo perché girando per i campi e i raduni, vedo tanti giovani di grande talento. Noi avevamo un vantaggio, potevamo identificarci già nei ragazzi che crescevano nelle giovanili e si preparavano a sostituire i grandi. Ricordo che andai a vedere una finale giovanile perché c’erano Morandotti e Fumagalli. Tre settimane fa ai raduni Under 15 e 16 ho visto ragazzi che possono diventare fenomenali. Ma dobbiamo ritrovare il romanticismo e il coraggio di quei tempi, puntare su almeno un giocatore rappresentativo per ogni squadra».

    Sgomberiamo il campo dal “caso” Banchero, su cui c’è stata un po’ di confusione. Tanto una risposta Paolo la darà.«Dobbiamo riconoscere che sia cambiato lo scenario. Con lungimiranza la Fip, Trainotti, Fois avevano individuato un grande talento dotato anche di grande etica. A causa del covid non è potuto venire prima. Poi è cresciuto al di là delle più rosee previsioni. Siamo contenti che se lo sia meritato, ora la sua scelta è più difficile. Banchero è un ragazzo estremamente serio, non focalizzato soltanto su se stesso, con idee chiare. Ha un modo di giocare e una comprensione del basket di livello tale che si può adeguare ovunque. Abbiamo sognato, teniamo la speranza accesa, ma tutto è cambiato. Ci darà una risposta, sono sicuro, per tempo. Nel frattempo io vado avanti». LEGGI TUTTO

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    Bezzecchi: “Bagnaia è un amico, sfidarlo in pista è difficile”

    Com’è la vita da leader della MotoGP? “Ho notato l’evoluzione della mia quotidianità su dati sensibili. Vengo riconosciuto dalla gente, vado in giro e le persone mi salutano. La mia popolarità sta crescendo in modalità graduale”.
    A lei fa piacere l’affetto del pubblico? “Piacevole lo è, ci mancherebbe altro. Ma è altrettanto strano, se posso usare questo aggettivo. Spesso vorrei farmi gli affari miei, non sempre posso. Mi piace tantissimo, sebbene vada gestito con parsimonia”.  L’ebbrezza di una vittoria è forte: riesce a immaginare le emozioni provate dal suo maestro Valentino Rossi nelle sue 115 affermazioni con nove titoli? “Vorrei rispondere (ride), Valentino ha realizzato imprese incredibili. Non servono i miei commenti a spiegare l’assurdità positiva della sua carriera. Ma in virtù della mia attuale posizione in campionato posso intuire quanto sia stato complicato per Rossi gestire ogni situazione di pista e la vita fuori dal paddock”.
    Il suo casco raffigura uno scorpione: è appassionato di astri? “Non proprio, mi piacciono simbolo, animale e immagine. Il mio segno mi affascina, malgrado eviti di leggere l’oroscopo. Meglio sapere poco e nulla”.  Che aspettative ha per il resto della stagione? “Siamo solo all’inizio del 2023, partito per me e il Mooney-VR46 veramente alla grande. Sono salito sul podio tre volte, fino al gradino più alto e ambito. La nostra Ducati Desmosedici GP22 è competitiva, lo dimostra pure Luca Marini, veloce e protagonista. Sì, direi che ci siamo”. 
    Cosa le hanno suggerito? “Di mantenere saldi i piedi a terra, sempre e comunque. Perciò, dalle fondamenta al capo, bisogna camminare lenti e spediti allo stesso tempo, non so se mi spiego. Sarà importante, se non fondamentale, usare qualsiasi risorsa, istinto o ragione che sia”.  Lei predilige la pulsione o il pensiero? “Ah, io provo a metterci la testa, sempre (ride). Proverò a sfruttare un mix tra istinto e ragione. Mi rendo conto che, a un certo punto del cammino, si dovranno accettare rischi. E io rischierò. La stagione è partita magnificamente, ho il sapore del successo su tutto il corpo”.  Corpo che mostra tatuaggi significativi.  “E ne arriverà un altro, proprio per raccontare la vittoria firmata in Argentina. Ho avuto poco tempo per pensare a tema e soggetto, appena avrò un attimo libero mi ci metterò”.  In pista affronta, tra gli altri, Pecco Bagnaia. Il campione in carica nonché suo compagno di allenamenti nella VR46 Riders Academy.  “Pecco è un amico e, devo ammetterlo, risulta difficile per me il confronto diretto in pista con amici ai quali si vuole bene. Preferirei non avere rivali che siano anche amici, però con Bagnaia e tutti i ragazzi della Academy procede bene. Ci conosciamo da tempo, allenandoci assieme e trascorrendo giornate anche fuori dal paddock. Siamo amici e avversari, per dosi di pepe aggiuntivo ai nostri duelli”.  Pensa alla possibilità di incoronarsi campione? “Onestamente, è presto per rispondere. In lizza ci sono tanti avversari, al momento, mi trovo nel gruppo principale. Dipenderà da condizioni e situazioni, chiaramente darò tutto per mantenermi lassù. Con la Spirint, ogni fine settimana propone due gare, tantissimi punti. Vedremo, ma è utile quanto consigliatomi dai più”. 
    Lei valorizza Tina Turner, a Tavullia il murale di Vale ricorda David Bowie.
    “Chissà cosa ha vissuto Vale in tutta la sua incredibile carriera. Non riesco a immaginarlo, però è pure bello provarci. Io, dal mio canto, mi impegno per crescere il più possibile. E poi ho anche fatto una cosa…”.   Si può svelare? “A casa ho incorniciato la maglietta di Leo Messi autografata, che ho ricevuto sul podio. La mentalità messa in pista nell’ultima uscita deve valere anche per gli Stati Uniti e per le restanti tappe mondiali. E il mio obiettivo è migliorarmi in Texas, come nel resto della stagione”.  

    Forte, convinto e umile. Marco Bezzecchi piacerebbe pure a Tina Turner e, perché no, a David Bowie. LEGGI TUTTO

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    Viaggio nella Rimini di Bezzecchi: “In pista ricorda Valentino Rossi”

    RIMINI – Si scrive Marco Bezzecchi, si legge una bella storia da raccontare. Perché dietro al primo successo di Marco in MotoGP c’è tanto altro. Attenzione, però, nulla di pirotecnico, ma “solo” una bella storia fatta di voglia, passione e semplicità. Quella che accompagna Marco dal 1998, il suo anno di nascita, figlia anche della Viserba – cittadina in provincia di Rimini – nella quale ha sempre fieramente vissuto, e dove ha iniziato a sviluppare l’amore per le due ruote. La foto del piccolo Bezzecchi con la sua prima minimoto, che replicava in qualche modo la Yamaha M1 di Valentino Rossi nella stagione 2004, del resto è diventata virale, e marca in un qualche modo il punto di partenza della sua storia sportiva.
    La prima mini moto
    «All’inizio non era super eccellente – la conferma di mamma Daniela – anzi sembrava quasi timoroso». «Faceva due o tre giri – approfondisce papà Vito – poi, se c’era troppo traffico in pista, diceva “andiamo a casa”. Ricordo bene la prima Minimoto: blu, come i colori Yamaha di Valentino, con il suo nome». A sentire ora queste parole viene da sorridere, ma il Bezzecchi attuale è figlio di una serie di progressi costanti e importanti. Lo sa bene bene la famiglia Zocchi, papà Giuliano e i figli Denis e Stefano, gestori della storica pista di minimoto di San Mauro Mare – 15 minuti da Viserba – dove Marco ha iniziato.
    Impennate e partenze
    «Oggi per me Bezzecchi significa impennate – apre Denis – dato che quando viene a girare si fa dei giri completi in impennata, ma lo abbiamo conosciuto da avversario, dato che ai tempi delle minimoto era il più grande rivale di Mattia Casadei ( ora in MotoE , ndc ), che correva per il nostro team. Quando è passato alle ruote alte Vito ha chiamato mio padre, per insegnargli a mettere le marce e a partire». «Le partenze – lo incalza Giuliano – erano il suo problema. Sfruttando le giornate di chiusura della pista ci lavorammo tanto, e ora sembra diventato un suo punto forte. Quei momenti mi sono rimasti dentro : è uno determinato. Ai tempi delle minimoto non era come Valentin o, che a volte buttava delle gare per irruenza: è sempre stato più preciso». «Era un bambino riservato – riprende Denis – ora è molto più estroverso, anche grazie alla VR46 Riders Academy, mentre la focosità nel momento clou è rimasta la stessa, anche se fuori dal box è la persona più tranquilla del mondo. È sempre andato forte, ma come altri, quindi posso dire che si sia costruito negli anni».
    Sul pezzo
    Anni nei quali, come in tante altre storie a due ruote, gli investimenti della famiglia non sono mancati, sospinti dalla passione per le moto che in Romagna contagia più di un abitante su due. «All’inizio vi sono lo sforzo economico a carico della famiglia – spiega Vito – e il tempo che non dedichi al resto della famiglia o al lavoro». Non pensate però che Marco fosse uno di quei ragazzini inconsapevoli di ciò che gli accadeva intorno, perché fareste un grave errore. A confermarlo con un aneddoto è Giorgio Marzola, capo del team – Minimoto Portomaggiore – con il quale Bez ha vinto il CIV – Campionato Italiano Velocità – Moto3 nel 2015. «L’ho conosciuto a 12 anni: con le minimoto era veloce, ma non era scontato che lo fosse anche con le moto vere. Ricordo che nell’estate durante la quale programmammo il suo debutto nel CIV Moto3 lui volle assistere a tutta la riunione, compresi i momenti relativi a soldi e progetto tecnico: la dimostrazione che era un professionista affamato sin da ragazzino. Se dicessi che ero sicuro che sarebbe diventato il pilota che è sarei bugiardo, ma che avesse del talento era chiaro, del resto ha debuttato nel CIV Moto3 con un podio, vincendo la terza. E ora si merita tutto quello che sta ottenendo».
    Anno da ricordare
    Il 2015 è un anno, per le due ruote, destinato ad essere ricordato. Per i più rappresenterà sempre l’anno dello scontro Rossi – Marquez, ma per Bezzecchi ha rappresentato forse la chiave di volta della sua carriera. Non solo per il titolo italiano che ha posto i primi riflettori su di lui, ma anche – o forse soprattutto – per i primi contatti con la VR46, della quale diventerà un pupillo dall’anno successivo. «È singolare che il primo incontro con Vale – ha raccontato lo stesso Bezzecchi – non sia stato in Italia ma in Qatar (quando Bez debuttò nel Mondiale con la Mahindra , ndc). «L’ho salutato e mi ha detto a sorpresa “Tu sei Bezzecchi, ti ho visto correre”. Da lì mi ha invitato al ranch, e tutto è partito». «Quando Carlo Casabianca (storico preparatore di Rossi e dei piloti VR46 , ndc ) me l’ha segnalato – il racconto di Alessio “Uccio” Salucci – gli dissi “Hai ragione, c’è qualcosa in questo ragazzo che fa la luce, dobbiamo prenderlo con noi”. Abbiamo sempre scelto i piloti in pista, soprattutto guardandoli negli occhi, per capire la loro passione. Marco è stato bravo perché è cresciuto, è maturato, mantenendo però la sua voglia e la sua guida, fatta anche di istinto. E poi non puoi non volergli bene».
    Dentro Rossi, fuori Bez
    Difficile trovare qualcuno senza una parola buona per Marco, e questo ben prima che l’Argentina lo incoronasse vincitore. E questo anche per il suo essere speciale: non parlate di paragoni con Rossi o Marco Simoncelli, almeno fuori dalla pista. «Se lo guardi correre ti ricorda Rossi – la perfetta chiosa di Denis Zocchi – fuori ricorda Marco Bezzecchi, perché ha una personalità tutta sua. Si differenzia dagli altri, quindi può diventare un personaggio. Lui, Bagnaia e Bastianini posso diventare i nuovi Rossi, Capirossi e Biaggi». Semplicemente Bezzecchi. Anzi, per stare al passo con i tempi, “Simply the bez”. LEGGI TUTTO

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    Ferrari, la spinta di Lapo Elkann e dei tifosi: «Torniamo a vincere!»

    TORINO – Anche @lapoelkann_ sostiene la Rossa. E con un tweet applaude il Cavallino dopo la presentazione di Maranello: «In bocca al lupo alla Scuderia Ferrari e i nostri grandi piloti Charles @Charles_Leclerc e Carlos @Carlossainz55 e a tutta la squadra @ScuderiaFerrari. Focalizziamoci tutti sul vincere #ForzaScuderiaFerrari #ForzaCharles #ForzaCarlos #Tifosi #SF23». Il mondiale manda dai tempi di Kimi Raikkonen, un’era fa. E i tifosi, da ogni angolo, spingono per vedere la Rossa di nuovo davanti. LEGGI TUTTO

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    Vasseur: «La mia Ferrari? Vogliamo vincere, non ci sono alternative»

    Ci racconta come è avvenuta la chiamata da parte della Ferrari?
    «Le voci che circolano in Formula 1 le colgo anche io, avevo sentito che il mio nome circolava, ma non sapevo nulla. Però un po’ mi ero abituato all’idea… Poi, mentre ero a casa e stavo bevendo un caffè, è squillato il cellulare. Ma voglio chiarire che per me l’obiettivo non è lavorare alla Ferrari, ma vincere con la Ferrari. Siamo solo all’inizio».
    Cosa hanno detto i suoi figli (Vasseur ne ha quattro, ndr)?
    «Il più piccolo mi ha chiesto di trovare una scuola vicino a casa. Il più grande vive già da solo. Ora sono in hotel, sceglierò la casa insieme con mia moglie nelle prossime settimane».
    Sono figli ferraristi?
    «In genere, quando hai dodici o tredici anni guardi più ai piloti che alle squadre. Piace Hamilton« e piace Leclerc».
    Quali sono le sue prime impressioni in Ferrari?
    «Sono qui da due settimane, ho parlato direttamente solo con una cinquantina di persone, mentre in Ferrari siamo oltre 1200… Per ora ho raccolto impressioni positive, c’è una grande atmosfera. Vedo che tutti vogliono vincere, sento l’entusiasmo, ho constatato che tutti cominciano a lavorare presto e finiscono tardi, altro che “italian way of life”. Colgo che tutti hanno lo stesso obiettivo».
    Com’è stato il passaggio di consegne con Mattia Binotto?
    «Ottimo, il suo congedo è stato un buon congedo».
    L’anno scorso la Ferrari ha avuto alti e bassi, momenti esaltanti e altri meno. Ha capito che cosa non ha funzionato?
    «Cercare di capire che cosa non abbia funzionato l’anno scorso è il mio primo compito e anche il più difficile, almeno adesso. Passo dopo passo posso farcela. La Ferrari è andata molto bene nella prima parte della stagione, meno nella seconda».
    Allora parliamo del 2023. Cosa si aspetta, Vasseur?
    «Per adesso vedo che tutti lavorano nella stessa direzione. Ho sempre sentito dire che “alla Ferrari nulla è impossibile”, anche da chi ci aveva lavorato e magari si era trasferito in una squadra diretta da me. Credo che qui si sappiano spostare le montagne. Sono rimasto molto impressionato dal vedere strumenti, sistemi e attrezzature».
    Qual è stata la sua prima decisione da Team Principal della Ferrrari?
    «In squadra si parla inglese, ma io vivrò in Italia, con la mia famiglia (Vasseur ha quattro figli). La mia prima decisione è stata imparare l’italiano, prendo lezioni ogni mattina alle 7. Se ce l’ho fatta con il tedesco che si parla a Zurigo, posso farcela anche con l’italiano. In fondo francese e italiano hanno molto analogie».
    Oltre a questo, ha una lista di cosa da fare?
    «Certo, ma non la condivido».
    Come intende interpretare il suo ruolo?
    «Il mio compito è mettere tutti nelle condizioni di lavorare al meglio. L’ho fatto tante volte in anni di esperienza “al muretto”. Ho imparato e spesso ho avuto successo».
    Lei “riporta” a John Elkann o a Benedetto Vigna, il ceo?
    «Su questo, la situazione è molto chiara. Io sono qui per aiutare tutti a dare il massimo e puntare a vincere il Mondiale. Il resto crea inutile confusione. Detto questo, la parte sportiva della Ferrari non è un’azienda autonoma, dunque io riporto completamente al ceo Vigna. Però mi fa piacere che il presidente Elkann sia molto vicino alla squadra. Perché sono stato scelto? Beh, questo non chiedetelo a me…».
    Parliamo dei piloti? Armonizzare le ambizioni di Leclerc e Sainz non sarà facile…
    «Anche su questo deve esserci chiarezza. La Ferrari ha i mezzi per sostenere i due piloti alla pari, chiederò a entrambi di spingere al massimo. Altri discorsi si potranno fare più avanti nella stagione. Prima guida? Noi siamo la Ferrari e la Ferrari è la vera “punta”. Vale per tutti. Ma ho potuto verificare che i rapporti tra loro due sono ottimi, migliori di quanto tutti non credano all’esterno».
    Lei conosce Leclerc da tanti anni…
    «Certo, me lo ricordo a dodici anni, scoprii il suo talento vedendolo correre sui kart. Dite che sarà un vantaggio? Non lo so. Dite che lui abbia sostenuto la mia candidatura? Non so nemmeno questo. Conosco anche Sainz, l’avrei voluto in Renault e anche in Sauber. Ho avuto una cena prima con uno, poi con l’altro, poi con tutti e due. Infine una lunga chiacchierata con i rispettivi manager. Tutto è chiaro. Qui conta il gruppo».
    Dicono che lei gestisca la collezione di auto sportive di Carlos Tavares, il ceo Stellantis. È vero?
    «Conosco Tavares dagli Anni ‘90, collaboravamo insieme nelle corse Renault. Da allora siamo sempre rimasti in contatto, uniti dalla passione per le corse. E, no, non ho niente a che fare con le sue auto da corsa».
    Le rimproverano di essere troppo amico di Toto Wolff.
    «Lo sono, ma lui è una persona troppo intelligente per non sapere che saremo strenui avversari».
    Toto dice spesso che un pilota come Leclerc lo vorrebbe in Mercedes?
    «Beh, provi a prendercelo allora».
    Cosa si aspetta dalla nuova auto? Può anticipare qualcosa?
    «Per adesso ho visto i dati e ho sentito le relazioni degli ingegneri. Se dicessi qualcosa, sarebbero solo pettegolezzi. Più veloce dell’anno scorso? Le prestazioni sono sempre un dato relativo. Comunque sembra essere tutto a posto, ma conosco abbastanza le corse per sapere che un conto è quel che dice il simulatore, un conto quel che dice la pista. Per fortuna si comincia presto, in Bahrain. Allora avremo un’idea chiara. Vale per noi e per i nostri avversari. Siamo qui per vincere, non ci sono alternative».
    La Ferrari non ha un direttore tecnico, che le altre squadre hanno. Ne prenderete uno?
    «Ho parlato con tanti ingegneri, vedo che tutti vogliamo la stessa cosa, l’organizzazione è buona, ci sono competenze trasversali. Enrico Cardile sta svolgendo un buon lavoro in questo senso, si prosegue così».
    Tra i punti deboli dell’anno scorso possiamo elencare affidabilità e strategie.
    «L’affidabilità è un problema che sembra risolto, ho studiato i dati. Non è un tema che riguarda solo le rotture in gara, ma anche le “rotazioni” dei motori, e al banco prova ci sono state le risposte giuste. Per quanto riguarda le strategie, voglio capire bene come si lavora, non è solo una questione di persone. Ma c’è ancora un po’ di tempo prima di dover prendere delle decisioni».
    Ultimamente la Ferrari sembra avere avuto qualche incomprensione con le altre squadre e la Fia.
    «Una larga parte del mio lavoro è garantire che ci siano buoni rapporti con tutti gli altri team, con la Fia, con gli organizzatori. So che dovrò dedicare molto tempo a questo. Dobbiamo avere relazioni positive con tutti e io lavorerò anche per quello».
    Incombono già le scelte per il 2026.
    «Da un lato dobbiamo pensare a quello, dall’altro a vincere nel 2023, 2024 e 2025. Lavorerò su due fronti. La pressione psicologica? Se non la si sa gestire, meglio cercarsi un altro lavoro. Non è che valga solo per me, vale per tutti in Formula 1 e in Ferrari».
    I contratti dei piloti, di Leclerc in particolare, sono una priorità?
    «No, non adesso. Bisogna concentrarsi su un buon inizio di Mondiale. Di contratti si parlerà a tempo debito».
    Lei è il francese, prima di lei come Team Principal solo Jean Todt. Avverte una pressione extra? Vi siete sentiti?
    «La Formula 1 è cambiata troppo, non vi farò vedere il mio whatsapp per dirvi chi mi ha fatto per primo le congratulazioni. Comunque gli ho parlato, ma sono troppo concentrato sul presente per andare a rivedere cosa è successo negli Anni ‘90. Né lui ha potuto darmi dei consigli, anche se mi ha confermato quanto siano importanti l’entusiasmo e la passione».
    Un’ultima domanda: dorme bene la notte?
    «Abbastanza bene, grazie. Ma le mie notti sono corte… Del resto, se giochi a tennis vuoi essere a Wimbledon. Se ti occupi di corse, vuoi essere in Ferrari. Funziona così, no?». LEGGI TUTTO

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    Lapo Elkann dà il benvenuto a Vasseur in Ferrari: “Portiamo il Mondiale a casa”

    TORINO – La Rivoluzione Rossa ha portato un nuovo responsabile alla Scuderia: ciao Mattia Binotto, ecco Frederic Vasseur. Toccherà a lui rilanciare la Ferrari in pista. Lapo Elkann lo accoglie con affetto: «Bienvenue Fred à la Scuderia Ferrari. Bon travail et portons le championnat du monde à la maison», ovvero benvenuto, buon lavoro e portiamo il  mondiale a casa. Maranello deve essere l’approdo finale per quel titolo che manca dal 2007 con Kimi Raikkonen. Anche il nipote dell’Avvocato, grande tifoso del Cavallino, si auspica la svolta, come tutti gli appassionati. I piloti, Leclerc e Sainz, sono all’altezza, la macchina pure: ora tocca alla squadra dare il massimo. LEGGI TUTTO

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    Bagnaia, la sorella: “Ecco com'è diventato campione sulla Ducati”

    ROMA – Sembrava una stagione stregata, non all’altezza delle aspettative, soprattutto dopo l’errore a Sachsering. Quel giorno in pochi avrebbero pronosticato una rimonta di Francesco Bagnaia, che invece è riuscito a conquistare il primo titolo iridato piloti in MotoGP. Un percorso non facile come racconta la sorella Carola, al fianco del fratello durante tutto il mondiale. “Dopo il Sachsenring è stato difficile. Il distacco era grande, lui aveva commesso un errore ed era caduto in una gara importante. – ha sottolineato a Speedweek.com – Da quel momento in poi gli abbiamo detto di non pensare più al titolo, ma a divertirsi e concentrarsi, quello è stato il punto di svolta”.
    “Ha sempre detto che sarebbe diventato campione”
    La bravura nel non farsi trascinare dalle critiche nei momenti no e restare concentrato fino all’ultima curva. “Con il finale del 2021 – spiega Carola Bagnaia – si era condannato a vincere ed è stato bravo a cambiar rotta. Lui è un tipo molto testardo, ma ascolta tutti. E’ stato bravo a rimanere calmo, ma quando ha vinto il titolo l’emozione è stata grande, mai visto piangere così, una sensazione molto bella. Apprezzo molto la sua capacità di estraniarsi dai commenti negativi e restare positivo anche nei momenti difficili, andando per la sua strada perché l’ha sempre detto che sarebbe diventato campione del mondo”, LEGGI TUTTO